Visto che copia e incolla col link non funziona l' ho fatto col testo.
Buona lettura!
Che si tratti del mestiere più antico del mondo è cosa nota a tutti. Che ai tempi dell'antica Roma riscontrasse una fiorente domanda di pubblico ve l'avranno detto chissà quante volte. La cosa che però molto probabilmente nessuno vi avrà spiegato è che all'epoca la prostituzione rappresentava una fonte di reddito tutt'altro che trascurabile per le famiglie più ricche che vi «impiegavano» una porzione consistente del loro parco-schiavi.
«L'idea comune di ciò che erano il sesso e la prostituzione in età romana – spiega l'archeologo Pietro Giovanni Guzzo - è inquinata da troppi falsi miti, nati dopo il 1748 a seguito delle prime scoperte archeologiche nell'area vesuviana. Abbiamo letto troppa cattiva letteratura e visto tanto pessimo cinema così che abbiamo finito di immaginarci l'antica Roma come una specie di baccanale permanente, dove la preoccupazione generale era la soddisfazione dei piaceri carnali. E si tralasciano gli aspetti più importanti
Pochi sanno per esempio – continua lo studioso - che l'approccio alla prostituzione da parte delle famiglie più ricche era prima di tutto economico. Potremmo quasi dire manageriale». Guzzo è stato a lungo soprintendente di Pompei ed Ercolano. Tre anni fa, a quattro mani con lo storico del diritto romano Vincenzo Scarano Ussani, ha scritto il saggio «Ex corpore lucrum facere: la prostituzione nell'antica Pompei», edito da L'Erma di Bretschneider. Un libro che incrociava rilievi archeologici, fonti letterarie e storiche, la cui novità consisteva proprio nell'approccio «economico» a cotanto tema.
Prima il prezzo, poi la prestazione
Tanto per cominciare, parliamo di un fenomeno consistente: «Il Catalogo Regionario del IV secolo d.C. – racconta Guzzo – individuava sul territorio di Roma la bellezza di 92bordelli». Per ovvi motivi, tracce dei postriboli citati nel testo non ce ne sono pervenute. Ma per fortuna abbiamo Pompei, «l'area archeologica – spiega l'ex soprintendente – che fotografa la città com'era nell'agosto del 79d.C. Un sito straordinario che ci ha lasciato l'unico edificio dell'antichità sulla cui funzione di bordello non esiste dubbio alcuno e ben 59rilievi riferibili a pratiche sessuali più o meno a pagamento». Oltre al lupanare, con quegli affreschi sui «mille modi» che sembrano la trasposizione pittorica dell'«Ars Amandi» di Ovidio, ci sono opere d'arte altrettanto eloquenti sparse in giro per le domus e numerosi graffiti con ragazze e ragazzi che si mettevano in vendita, illustravano con dovizia di particolari le loro abilità, fissando con puntualità il prezzo per la prestazione offerta.
Non è un mestiere per donne libere
Aspetto fondamentale e spesso trascurato: «Il mestiere di prostituta – sottolinea Guzzo – non era consentito alle donne e agli uomini liberi. Quelli che lo praticavano venivano etichettati come infames e perdevano una serie di diritti, inclusa la facoltà di testimoniare di fronte a un giudice». La prostituzione era allora appannaggio di schiavi e liberti, «coloro i quali non avevano diritti e, di conseguenza, non avevano neanche doveri». Che potevano vendere il proprio corpo al lupanare, alle terme o in taverna. «Esiste documentazione letteraria molto nutrita – continua l'archeologo – sulla pratica del mestiere in tutti questi luoghi».
Un «patrimonio» in carne e ossa
Ma gli schiavi erano proprietà privata «e questo – secondo Guzzo – rappresenta uno degli aspetti più interessanti: non esercitavano per conto proprio, quanto piuttosto erano obbligati a vendere il proprio corpo per fare gli interessi economici del padrone». Un po' come se fossero beni immobili, campi agricoli o animali da soma da «affittare» a terzi. E si arriva così a una delle ricostruzioni più suggestive del saggio di Guzzo e Scarano Ussani: ogni uomo libero che «investiva» in schiavi poteva allestire squadre di prostitute e prostituti che obbedivano a un lenone (di solito era un liberto di fiducia) e si vendevano in giro procacciandogli liquidità. Un «patrimonio» in carne e ossa dalla rendita certa ma purtroppo soggetto a svalutazione (l'età, si sa, ha il suo peso).
Bordelli «domestici»
Un'ultima curiosità: ricordate quei piccoli ambienti pieni di raffigurazioni erotiche in alcune delle più celebri domus pompeiane, come la Casa dei Vettii e la Casa del Centenario? «Secondo l'interpretazione moderna – spiega Guzzo – potevano esercitare tre funzioni diverse: o erano luoghi in cui incentivare l'accoppiamento tra schiavi affinché nascessero altri schiavi, o erano sale del piacere in cui il padrone di casa in compagnia di amici, a fine cena, poteva intrattenersi con schiave e schiavetti. Oppure ancora erano i luoghi che il dominus metteva a disposizione dei clienti delle sue schiave per la consumazione». Certo è che il sesso a pagamento doveva offrire un contributo niente male al Pil dell'epoca…
Beati coloro che sanno ridere di se stessi perché non finiranno mai di divertirsi. ( Tommaso Moro )