Continua da:
1. Aria: aurora consurgens.
2. FUOCO: D’AMORE ACCESI
Dopo aver preso gli accordi necessari, mi presento a casa di Cristina con 100 euri, per una seduta diversa dalle nostre abituali, che non racconto più, dedicata, senza addentrarmi nel BDSM che non pratico, ad esplorare il simbolismo del fuoco, sotto la forma delle fiamme dell’erotismo, con una invenzione particolare. Porto con me le uniche due candele che ho a casa, due candele benedette con immagini religiose, non molto indicate alla circostanza forse, se non per approfondire l’insondabile connessione fra la sacralità e la sensualità, che resta interessante in ogni sua manifestazione. Lei spacchetta delle specie di lumini rossi che si era già procurata.
Rinunciamo all’illuminazione elettrica e, nel buio, accendo una delle mie candele, sul tavolo, e i suoi lumini, ponendoli attorno al letto, che così diventa un catafalco dell’abbraccio fra eros e thánatos, sul comodino e sullo scaffale soprastante. Quindi passo il fuoco ad un’altra delle mie candele e gliela consegno. Siamo nella penombra, nudi, lei davanti allo specchio, io prima discosto e poi vicino al suo corpo. Candela alla mano, le chiedo di illuminare per me le sue tette, la figa, il culo (memorabile lo scorcio di lei che, compiaciuta di sé, si guarda dietro di sbieco), poi il mio cazzo già duro. Sono bagliori soffusi di luce calda che, con effetti di chiaroscuro barocco, di volta in volta riducono tutto il mondo percepito ai particolari della nostra anatomia erogena.
Poi ci mettiamo a letto e chiedo a Cristina, che impugna sempre la mia candela, di lasciarla sgocciolare sul mio corpo. Mi ispira la scena più famosa di “Body of evidence” , un vecchio filmaccio con Madonna che non mi sognerei di consigliare di guardare per intero, ma che contiene una sequenza giustamente famosa, un gioco di candele cui, nei miei anni verdi e solitari, immagino di aver dedicato anche qualche sega. Vincendo l’iniziale perplessità, Cristina sviluppa autonomamente una notevole intuizione squisitamente libertina, che allude alla combinazione di piacere e tormento e scavalca il suo erotismo di norma più immediato e genuino: avvicina la fiamma alla mia pelle e mi lecca i capezzoli mentre mi fa colare la cera sul petto e sulla pancia, acquisendo subito disinvoltura nel ruolo ambivalente di seviziatrice-ristoratrice. La sensazione è quella di una puntura, con l’unica conseguenza di un temporaneo arrossamento della pelle che in un’ora è già riassorbito (dunque la controindicazione è non avere una moglie con cui giustificarsi).
Svuotato da poco, il mio autocontrollo è massimo e capace di intensificare la serata di passione. Sempre a lume di candela, passiamo attraverso il pompino (protetto) semplice, poi sviluppatosi in un sessantanove, per continuare nell’anale, durante il quale, da me invitata, anche per favorire la penetrazione più profonda, lei si masturba. Continuiamo fino a quando, provata, Cristina mi chiede: “facciamo un po’ di figa?”. Benissimo! Si cambia il preservativo per riprendere il pompino in una diversa posizione (con me inginocchiato e non sdraiato sul letto), passando poi alla pecorina sulle ginocchia e infine sulla pancia. A questo punto concludiamo fra i cigolii. Noto che nelle posizioni da tergo e sulla pancia Cristina dispone le gambe in una plastica e arrapante posizione a ranocchia. Il viso, invece, lo tiene appoggiato con la guancia sul suo lato sinistro: prendo allora un lumino, che lascia la striscia rosso sangue della sua cera fortunatamente solo sulla spugna da me procurata apposta per non sporcare le coperte della mia ospite, lo avvicino, sul letto, per rischiarare nell’oscurità l’espressione, via via cedevole alle sensazioni, di questa ragazza che, pur non essendo una passionale di natura, sa lasciarsi coinvolgere.