Sonia lavora a Zibido San Giacomo, lungo la strada dei Giovi, in una delle piazzole d’accesso alle grandi sedi aziendali che ci si ritrova a destra, provenendo da Binasco diretti a Milano, subito dopo il nucleo abitato di Badile ovvero della diramazione per Lacchiarella, circa all’altezza delle coordinate 45.35 6194, 9.12 9270. Non è dotata di auto propria, ma di seggiolina pieghevole (anche se spesso l’ho vista restare in piedi), collocata in posizione abbastanza arretrata rispetto alla strada, che dunque funge da segna-posto e da segna-presenza quando è impegnata con altro cliente.
Copre un orario notturno lunghissimo, dalle 8 alle 3, mi dice, e in effetti ho constatato la sua attività anche a queste ore tardissime per le prassi extra-urbane, mentre non ho verificato la puntualità ad inizio turno. In queste sere di pioggerellina non ha fatto mancare la sua presenza.
Il titolo della recensione evoca una figura dell’immaginario cinematografico. Sonia infatti non ha la stazza, direi più da XXL, dei sogni felliniani, mentre la associo al più confortante personaggio femminile di Marco Ferreri, la formosa Andrea de “La grande abbuffata”, messa in scena come la somma Dispensiera dell’esperienza vitale, distributrice di cibo, sesso e infine dolce (diabeticamente dolce) morte. Me la ricorda fisicamente. È alta circa 1,60, corporatura XL (diciamo per intendersi), 25 anni dichiarati, l’ho sempre vista vestita in modo da mettere in mostra in particolare le generose forme posteriori, seno che a me sarebbe parsa una terza abbondante, forse perché lo perdevo un po’ nell’insieme dal momento che lei autocertifica una quarta, viso dai lineamenti gradevoli ma anch’esso bello pienotto da angelo di stucco del Seicento, capelli biondi mossi, occhi marroni, inevitabilmente un po’ di burro sulla pancia.
Anche caratterialmente ha qualcosa del personaggio del film. Albanese, in Italia (e al lavoro) da quattro anni, si esprime con disinvoltura e si porge senza alcuna asperità. Discorre simpaticamente, è sempre sorridente, ti rassicura (circa l’imbosco, la rilassatezza dei tempi ecc.), diventa solo amabilmente ansiogena quando guidi perché pare una di quelle ragazze che hanno paura di tutto sulla strada e quindi sente il bisogno di invitarti a non infilarti sotto un camion quando devi riprendere la statale. Non ti preoccupare, che anch’io non lo desidero!
Fa tutto “con guanto”, premette in occasione del nostro primo colloquio: 20 pompino, 30 boccafiga, 50 culo, 100 per trenta-quaranta minuti d’albergo.
Porta a consumare in un luogo che ho trovato tranquillo, una stradina fuori dal centro abitato, dove inizia la campagna, non disturbato da nessuno (residente o viandante appiedato o motorizzato), non illuminato ma non troppo isolato.
È attrezzata con fazzolettini asciutti e umidi e ritira gli avanzi.
È fumatrice.
Il pompino non è stato il momento eroticamente più intenso. Applicazione dolce, senza fretta (come è nel suo approccio), con qualche piccola variazione di presa, senza mano, abbastanza profonda, senza stacco immediato alla fine, insomma tutto dignitoso ma anche non segnalato da virtuosismi notabili o vibrazioni memorabili. Entrambe le volte, infatti, ci ho impiegato un po’ a venire al dunque, menandomelo mentre lei mi stimolava delicatamente il petto, i capezzoli e lo scroto con i polpastrelli, e mentre io spaziavo fra tette, culo e cosce, a causa della stagione, purtroppo, ormai avvolte dai collant, che possono avere il loro fascino feticistico, ma che, per restare in tema, a me danno piuttosto la sensazione artificiosa della carne già confezionata nell’involucro alimentare. Sonia asseconda con qualche mugolio e incita con qualche parola turpe, ma nel complesso il suo resta un approccio più complice che porcello.
Il piatto forte sono state, piuttosto, le tette. Se non ha il tipo di corpo che mi coinvolge di più, mi ha conquistato quando me le ha messe spontaneamente a disposizione (mentre sotto non si è calata alcun indumento). Bianche latte, ben disegnate, sode, alte, naturali, con un piccolo capezzolo immediatamente reattivo. Per questo, pagandole il pompino, ho offerto un supplemento (più 10) per introdurre un tempo di pura degustazione del seno. La prima sera, invero, l’ha solo estratto, in occasione di un successivo incontro si è denudata dalla vita in su. Ed è stata veramente una grande abbuffata: l’ho palpeggiata, ho succhiato e leccato i capezzoli, ci ho immerso il viso, mi sono fatto strofinare le tette sul mio petto (essendomi anch’io spogliato). Lei mi ha lasciato fare con molta libertà, l’unica condizione posta era che l’approccio fosse delicato, perché dice di essere epidermicamente sensibile, quindi niente morsi cannibalistici.
Copre un orario notturno lunghissimo, dalle 8 alle 3, mi dice, e in effetti ho constatato la sua attività anche a queste ore tardissime per le prassi extra-urbane, mentre non ho verificato la puntualità ad inizio turno. In queste sere di pioggerellina non ha fatto mancare la sua presenza.
Il titolo della recensione evoca una figura dell’immaginario cinematografico. Sonia infatti non ha la stazza, direi più da XXL, dei sogni felliniani, mentre la associo al più confortante personaggio femminile di Marco Ferreri, la formosa Andrea de “La grande abbuffata”, messa in scena come la somma Dispensiera dell’esperienza vitale, distributrice di cibo, sesso e infine dolce (diabeticamente dolce) morte. Me la ricorda fisicamente. È alta circa 1,60, corporatura XL (diciamo per intendersi), 25 anni dichiarati, l’ho sempre vista vestita in modo da mettere in mostra in particolare le generose forme posteriori, seno che a me sarebbe parsa una terza abbondante, forse perché lo perdevo un po’ nell’insieme dal momento che lei autocertifica una quarta, viso dai lineamenti gradevoli ma anch’esso bello pienotto da angelo di stucco del Seicento, capelli biondi mossi, occhi marroni, inevitabilmente un po’ di burro sulla pancia.
Anche caratterialmente ha qualcosa del personaggio del film. Albanese, in Italia (e al lavoro) da quattro anni, si esprime con disinvoltura e si porge senza alcuna asperità. Discorre simpaticamente, è sempre sorridente, ti rassicura (circa l’imbosco, la rilassatezza dei tempi ecc.), diventa solo amabilmente ansiogena quando guidi perché pare una di quelle ragazze che hanno paura di tutto sulla strada e quindi sente il bisogno di invitarti a non infilarti sotto un camion quando devi riprendere la statale. Non ti preoccupare, che anch’io non lo desidero!
Fa tutto “con guanto”, premette in occasione del nostro primo colloquio: 20 pompino, 30 boccafiga, 50 culo, 100 per trenta-quaranta minuti d’albergo.
Porta a consumare in un luogo che ho trovato tranquillo, una stradina fuori dal centro abitato, dove inizia la campagna, non disturbato da nessuno (residente o viandante appiedato o motorizzato), non illuminato ma non troppo isolato.
È attrezzata con fazzolettini asciutti e umidi e ritira gli avanzi.
È fumatrice.
Il pompino non è stato il momento eroticamente più intenso. Applicazione dolce, senza fretta (come è nel suo approccio), con qualche piccola variazione di presa, senza mano, abbastanza profonda, senza stacco immediato alla fine, insomma tutto dignitoso ma anche non segnalato da virtuosismi notabili o vibrazioni memorabili. Entrambe le volte, infatti, ci ho impiegato un po’ a venire al dunque, menandomelo mentre lei mi stimolava delicatamente il petto, i capezzoli e lo scroto con i polpastrelli, e mentre io spaziavo fra tette, culo e cosce, a causa della stagione, purtroppo, ormai avvolte dai collant, che possono avere il loro fascino feticistico, ma che, per restare in tema, a me danno piuttosto la sensazione artificiosa della carne già confezionata nell’involucro alimentare. Sonia asseconda con qualche mugolio e incita con qualche parola turpe, ma nel complesso il suo resta un approccio più complice che porcello.
Il piatto forte sono state, piuttosto, le tette. Se non ha il tipo di corpo che mi coinvolge di più, mi ha conquistato quando me le ha messe spontaneamente a disposizione (mentre sotto non si è calata alcun indumento). Bianche latte, ben disegnate, sode, alte, naturali, con un piccolo capezzolo immediatamente reattivo. Per questo, pagandole il pompino, ho offerto un supplemento (più 10) per introdurre un tempo di pura degustazione del seno. La prima sera, invero, l’ha solo estratto, in occasione di un successivo incontro si è denudata dalla vita in su. Ed è stata veramente una grande abbuffata: l’ho palpeggiata, ho succhiato e leccato i capezzoli, ci ho immerso il viso, mi sono fatto strofinare le tette sul mio petto (essendomi anch’io spogliato). Lei mi ha lasciato fare con molta libertà, l’unica condizione posta era che l’approccio fosse delicato, perché dice di essere epidermicamente sensibile, quindi niente morsi cannibalistici.