Poiché Georgiana aveva superato l’esame orale in modo per me soddisfacente, a distanza di qualche giorno l’ho messa alla prova sulla prestazione automobilistica completa per vedere cosa sapeva fare. Integro di conseguenza il precedente dossier limitato al solo pompino, chiudendo la mia parte di testimonianza su di lei.
Cerco un’amica di Binasca e non c’è, chiedo di lei ed è inutile; provo un’alternativa, altra assenza. Così, sulla via del ritorno, rivedo ancora Georgiana che cuoce al sole.
Un Gozzano immalinconito dalla Binasca le si sarebbe rivolto come io non so fare.
Sei quasi brutta, priva di lusinga
nelle tue vesti quasi campagnole,
ma la tua faccia buona e popolana,
ma i capelli scuri splendenti al sole,
attorti in minutissime trecciuole,
ti fanno un tipo di beltà zigana…
Ma sulla strada Georgiana non ha incontrato un poeta del secolo scorso, bensì me, che a dire la verità la trovo quasi carina, mi lascio calamitare dal suo abitino azzurro/blu, tristemente lo stesso di quando l’ho caricata la prima volta, frangiato di pizzo, e dalle cosce scure scoperte, e, per amore di concretezza, la interpello per un prosaico boccafiga protetto a 30 euri.
Conferma la sua consolante semplicità con le mutandine senza richiami erotici e il gesto con cui, quando ci fermiamo, libera i piedi delle scarpe prive di stile e che dice glieli fanno sudare.
Circa le successive operazioni, devo precisare meglio la prima impressione di un “livello ancora incerto di professionalizzazione”, di cui ho scritto. Cioè è evidente che non è la bambolona addestrata all’erotismo da videoclip rivenduto come prodotto commerciale: è per questo che sono tornato da lei ed è anche per questo, in generale, che frequento la strada. Ma non ignora le blandizie femminine, manifestando disponibilità apprezzabili e qualche abilità.
In primo luogo, ad un semplice cenno, comincia a leccarmi i capezzoli, me li stimola con i polpastrelli, me li morde pure fino a quando non la fermo perché in quei punti i trattamenti troppo rudi non mi piacciono, poi scende sulla pancia mulinellando la lingua con destrezza.
Grazie a questo preliminare, in sé piccola cosa ma non frequente tra le stradali, grazie al contatto con la sua pelle madida per il caldo, io mi ritrovo più eccitato dell’altra volta, accorcio quindi i tempi del pompino per godermi il resto ma, facendo tesoro dell’esperienza, cerco di guidarla verso la valorizzazione di quello che sa fare e la correzione delle manchevolezze: dunque le indirizzo subito la mano sullo scroto in modo da non lasciarmelo segare e la incito a prenderlo in bocca tutto, invito che raccoglie.
Dando per scontato che, in quel pessimo imbosco che non dico, è meglio restare all’interno della macchina, verifico che si mostra flessibile sulle posizioni possibili nell’abitacolo, sui sedili anteriori o su quello posteriore. Capisco bene che preferirebbe nettamente la pecorina, ma accetta, dopo breve insistenza, di salire lei su di me. Io reclino il sedile guidatore e lei prende posizione senza problemi, solo che è strettina di suo, non lubrifica, sicché dopo pochi colpi il mio uccello le scatta fuori. Risistema, riparte muovendosi come si deve in questa posizione, cioè con moto sia ondulatorio, sia sussultorio, mentre io spingo da sotto a tratti reggendole le chiappe in modo da tenerlo dentro bene. E concludiamo.
Non è un’attrice gemebonda, ma si lascia andare un po’ alla volta. I capezzoli, che in partenza non sono due antennine, reagiscono alle mie carezze: una dolce palpazione a mano aperta del seno, denudato senza menate (né richieste di supplemento), mentre siamo l’uno di fronte all’altra. E quando smonta mi ritrovo pure la polo sbrodolata, tanto che lei si giustifica: “Scusa, io escitata, tuo cazo belo” (testuale). Io rido dell’ impaccio di questa ispirazione pornofolk e ovviamente non protesto.
Non pare avere il cronometro incorporato, perché alla fine ci intratteniamo un momento. Scherza tutta sorridente; confrontiamo i nostri due cellulari, uno più obsoleto dell’altro; si smolla un po’ circa l’origine che io suppongo, senza professioni aperte, ma dicendomi almeno che a casa ha la gonna variopinta tradizionale e le piace portarla.
E questo è tutto sul mio genuino quarto d’ora domenicale di felicità a buon mercato.