“L’automobile è femminile. Questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità d’una seduttrice; ha, inoltre, una virtù ignota alle donne: la perfetta obbedienza”.
Così Gabriele D’Annunzio interveniva nel dibattito se nella lingua italiana il neologismo dovesse essere introdotto come sostantivo maschile o femminile, peraltro dando prova di illudersi clamorosamente circa le capacità di una macchina di sfuggirti di mano.
Situo i pensieri che la citazione racchiude all’origine del desiderio ricorrente di questa primavera di una bella incofanata, cioè di una missionaria sul cofano, forse anche per stanchezza verso le più ordinarie impecorate laterali, in appoggio alle fiancate o a culo sporgente da uno dei sedili anteriori.
I primi tentativi non sono stati fortunati, a causa del boicottaggio incrociato dei guardoni moralisti e degli ingegneri che hanno modellato il mio cofano motore come uno scivolo che in un attimo precipita a terra la giovine di turno, terminante peraltro molto al di sotto dell’altezza del mio pube, autentica sfida alla pigrizia di base che mi porta ad evitare fatiche e tensioni muscolari ulteriori quando mi sto godendo l’amplesso, motivo per cui avevo finora scartato la posizione in oggetto.
La prima notte dei fallimenti l’ho già raccontata per esteso. Ho riprovato con una diurna (due incontri), poi una vespertina e infine con Anna (entrambe la stessa sera/notte). Non mi dilungo nei profili delle altre, perché su di loro mi sono già espresso e non aggiungerei niente, ma ne riferisco sinteticamente solo per dire come abbia scoperto che far salire una giovane sul cofano e godere delle sue grazie può essere più difficile a farsi che a dirsi, e quindi per apprezzare meglio le virtù di Anna. La prima ragazza è stata disponibile, giusto con qualche menosità tutta femminile: la lamiera arroventata dal sole che le cuoce le carni fresche alla griglia o meglio alla brace; la scomodità della posizione, per cui mi chiede di portarle un cuscino. La seconda volta, pertanto, mi sono presentato con l’accessorio, federa dello stesso colore della carrozzeria onde non rompere l’incanto. Però, se pure ho apprezzato il modo in cui lei ha saputo giocare con la situazione, abbiamo davvero faticato a trovare la posizione, per cui in entrambe le occasioni non abbiamo concluso con una vera penetrazione. La prima volta avevamo nelle vicinanze pure un pescatore di cui evitare l’attenzione.
Con la seconda ragazza, pure in imbosco tranquillo, incrociamo per l’ennesima volta i destini di un passante solitario di ritorno alla sua macchina, che intuendo la situazione e direi cortesemente si avvicina tossicchiando ad alto volume in modo da darci il tempo di ricomporci. La compagna d’avventure, però, è legnosa: a parte che montando sul cofano mi scalpella con i tacchi la mascherina del radiatore, ma vorrebbe farsi penetrare abbassandosi a mezza gamba i pantaloni e alzando le ginocchia in modo da farmi entrare da sotto. Così non funziona e finisco allagandole la bocca.
Di ritorno da tale avventura, già alleggerito di 50 euri e di un po’ di desiderio, rivedo Anna, dopo la sua lunga assenza, arrapante in minigonna inguinale nera con strass e cinturone. La saluto, faccio ancora un giro per ricaricare la batteria e poi la ingaggio, stavolta per concludere ad ogni costo, beh ad ogni costo, non esageriamo..., i soliti 100 per l’ora a casa.
Arrivati non saliamo nel mio appartamento, ma ci fermiamo in garage. Le cantine, come ho raccontato, sono già state da me valorizzate eroticamente, la rimessa aspettava ancora tale redenzione dalla banalità dell’uso quotidiano. Abbasso il portellone, chiudendo fuori una volta per sempre guardoni, moralisti, passanti, che potrebbero incarnarsi tutti insieme nella figura di qualche vicino, uno peraltro è ancora in giro e mi ha appena salutato prima che imboccassi la rampa dei box, di altri sentiremo le voci durante tutto l’incontro, chissà se anche loro le nostre. Lo squallido vano, fra pareti nude di cemento, polvere e oggetti accatastati, è già diventato l’alcova dei nostri amori. Lei resta incredula che con la casa a disposizione io voglia davvero fermarmi lì, ma è sempre di una disponibilità incantevole e si limita a chiosare divertita: “siamo due pazzi”. L’unica scherzosa rimostranza riguarderà il calore del motore: non ci credevo, ma a fine operazioni ho verificato, aveva davvero il retrotreno surriscaldatosi nell’appoggio.
Il secondo amplesso nel corso della stessa serata non poteva essere per me sessione di eccitazione immediata e venuta rapida. Prima chiedo ad Anna di rivestire gli abiti più sexy, perché fra il momento del primo saluto e quello dell’ingaggio aveva già indossato, per il freddo credo, un pantaloncino felpato che non suggerisce fantasie. Quindi iniziamo la nostra danza propiziatoria attorno al feticcio a motore. Accetta di farmi scattare qualche fotografia, rigorosamente senza volto, in posizioni per cultori della misteriosa simbiosi tra persona umana e persona meccanica: dal bacino in giù, sul sedile passeggero a gambe tese con i piedi, dentro scarpe aperte e taccate, sul cruscotto; visione da dietro della portiera semi-aperta, gambe che fuoriescono dall’abitacolo e piedi in cerca del pavimento, con le scarpe riflesse nella carrozzeria ecc. ecc. Passiamo dalla contemplazione all’azione, in un’atmosfera più romantica dal momento in cui spengo la luce. Anna si appoggia alla fiancata e io, ancora attraverso i vestiti, posso premerle l’uccello sul culetto, che solo gli spilli vertiginosi portano più o meno all’altezza giusta, perché il divario delle nostre stature è notevole. Ci spogliamo lentamente, lei tiene solo la cintura all’altezza della vita. Ci lecchiamo e titilliamo i capezzoli a vicenda, ci scambiamo qualche bacio a fior di pelle e intanto la isso, faccia verso di me, sul cofano motore. Saltiamo il pompino, che non è il pezzo forte della mia compagna e che, nella posizione assunta, le costerebbe una prova acrobatica. Piuttosto, rivestito l’uccello del suo piccolo pneumatico, completiamo l’erezione continuando con i preliminari e con qualche diretta stimolazione tattile. Ormai pronto, la penetro, mantenendola energicamente in posizione con le mie braccia e con il mio stesso corpo. Prima resta seduta, poi le chiedo di sdraiarsi sulla schiena. È una postura molto rodata per noi, che più di una volta abbiamo scopato io in piedi, lei sdraiata davanti a me sul tavolo della sala-cucina, anche se il mio cofano, in realtà, me la offre ad un’altezza inferiore rispetto a quella a cui la porta il tavolo. Però la suggestione è molto più intensa. Nel turbamento, i sensi confondono la potta e la griglia del radiatore, mi turbina nella mente l’evocativo triangolo delle vecchie Alfa Romeo, vedo lo scudo della casa costruttrice in mezzo alle gambe, pure le flessuose forme femminili mi sembrano ricalcare le linee morbide delle carrozzerie, specialmente di quelle che, secondo una moda di qualche anno fa e di cui la mia auto è un prodotto, alludono alle sensuali rotondità dei modelli d’epoca. Anna è molto leggera, quindi posso facilmente afferrarla per i fianchi e spostarla, tirarla, avvicinarla, oppure sollevarla dalle chiappe, per fare il dentro e fuori o invece premerla con tutto il bacino, a seconda di quanto richiede la dinamica dell’azione. Ora le divarico le gambe, ora appoggio i suoi piedi sul mio petto. Visto che da giorni giravo con il cuscino nel bagagliaio, per ogni evenienza, lo recupero e glielo infilo dietro la testa, così mi può guardare senza sforzi cervicali. È bello anche per me vedere come questa ragazza, che non ha l’abitudine di simulare, si lascia andare lentamente, la labbra che si contorcono, il respiro che diventa più affannoso. Le chiedo pure di toccarsi e in effetti con una mano si masturba, mentre con l’altra si solletica un capezzolo, quello di cui non mi sto prendendo cura io. Riaccendo la luce del garage per recuperare l’erotismo della visione. E vengo con piena soddisfazione.
L’esperienza mi ha ricordato il mio racconto preferito di Niccolò Ammaniti, “Ferro”, che descrive il coito fra il protagonista e una sorta di sirena tecnologica post-moderna, metà donna e metà automobile. “Rimango abbagliato da fulgori metallici … Mentre lo facciamo sento i rumori che fanno gli ingranaggi, i fruscii dei servosterzi, i ronzii dei cuscinetti a sfera”. Invero anche a me, ad ogni pompata, sembrava di avvertire la singolare risposta dell’ammortizzazione e la resistenza del freno a mano. Più inquietanti erano i piccoli ma periodici tonfi di assestamento della lamiera ai nostri movimenti, del resto Anna aveva auto-certificato un peso di 35 chili che mi aveva rassicurato e invero il primo sopralluogo ha dato esito positivo: non mi pare che la carrozzeria abbia preso il calco indelebile di questa notte di grazia (erotica) e di disgrazia (economica).