Era mia intenzione passare la sera di Pasqua con una ragazza che fosse già una vecchia o nuova conoscenza, in tutta tranquillità. Ma in via Murat, dove chi ha letto le puntate precedenti può intuire chi cercassi, una notevole opera scultorea del Rinascimento accende la possessività del collezionista. È il culo di una bella stanga mora: non le chiappette che stanno in mano amate dai nostalgici degli ultimi grafismi gotici, ma nemmeno le curve più prominenti che annunciano il passaggio al barocco, bensì un equilibrio, a mio avviso di perfetto gusto classicista italiano, fra rotondità femminile, snellezza, elasticità. Tutto peraltro in vista, perché non mi pare di constatare altra copertura se non collant e perizoma.
È alta circa 1,70, dalla vita in giù è tutto in proporzione, purtroppo invisibile dalla vita in su, nerovestita in abbinamento con i capelli neri lunghi lisci che scendono dai due lati del capo. Viso un po’ lungo e profilato da linee nette, meno rinascimentale del retrotreno senz’altro.
Staziona appunto in via Murat, procedendo verso viale Marche a destra, dopo via Villani, alla pensilina ATM, coordinate 45.49 8976, 9.19 0906. Fa coppia, da circa tre mesi, con la bionda Carmela: ovviamente sono inconfondibili, e non vanno scambiate nemmeno con l’altra coppia che si ferma in posizione di poco più arretrata, proprio all’altezza di via Villani.
La avvicino. Si chiama Erica, o Erika, rumena, 24 anni dichiarati. Mi sovviene che l’amica me l’aveva già presentata, ma io non l’ho ancora messa alla prova.
Lavora solo coperto, 20 il pompino, 30 il boccafiga, il suo gioiello posteriore non è penetrabile, 100 per mezz’ora d’albergo, 150 per un’ora. La bionda e la mora si offrono pure in coppia, sia in macchina, sia in albergo, ognuna a parcella intera.
L’imbosco della zona è l’ennesimo parcheggio dell’amore collettivo in città, peraltro nei pressi di condomini, abbastanza vicino ma non attaccato alla sua fermata. Quando mi sistemo ho, immediatamente alla nostra sinistra, una coppia non professionista che amoreggia sul loro sedile posteriore, alla mia destra nell’ordine un posto vuoto, una macchina parcheggiata innocentemente e non abitata d’amanti (sembra incredibile!) e un’altra dove invece si sta già prodigando Carmela. Peraltro, poco dopo aver caricato Erica, un tizio, con l’aria dell’extracomunitario che al momento forse non può permettersi di più, scatta con il cellulare una foto ad una delle ragazze in minigonna di via Villani, almeno questa è l’interpretazione di Erica, sebbene nel campo ci entriamo di striscio anche noi con la mia auto. A me non importa perché tanto non stavamo più contrattando e non avevo ancora iniziato a fare niente, niente era visibile e non vivo paranoie sulla mia esposizione, ma tutto ciò dia l’idea della concentrazione di presenze, sguardi e azioni attorno a questo girone dei lussuriosi.
Le pago il pompino e lei vi si dispone, usando il mio preservativo, senza spogliarsi di nulla. Si adagia un po’ pesantemente sul mio basso ventre fino a quando non le chiedo di attenuare la pressione. Io palpo il culo avvolto dalle calze, sento il tepore della sua intimità dove affonda il perizoma, mi basta per eccitarmi, ma francamente è un’offerta di queste grazie molto povera. Il pompino è un saliscendi aiutato di mano a ritmo crescente, non variato, a tratti mugolato, di cui apprezzo due aspetti: la presa profonda che perlomeno cerca anche ad erezione completa, l’abbondante irrorazione, tanto che sento la saliva colarmi sulla pelle. Alla fine non stacca precipitosamente.
I resti rimangono in macchina.
L’atteggiamento di Erica è asciutto, ma sorridente e gentile. Poiché, per godermi l’orgasmo, le chiedo di rallentare, ha poi la premura di giustificarsi: “Scusa, io vado un po’ veloce”. Ha espresso in modo ancora più compiuto il sua erotismo stupendosi della perseveranza della coppietta accanto a noi: sono qui da cinque ore (è notte molto tarda e vuol dire, evidentemente: da quando ho cominciato a lavorare), cosa avranno da fare, chissà... Ipotizzo che siano dei fidanzatini novelli, animati ancora da molto desiderio di stare insieme. Ma Erica insiste, con parole che non si direbbero tratte da un romanzo di Jane Austen: “Non si rompono il cazzo?”. Dice che lei non reggerebbe. Non posso nascondere che una parte di me è affascinata dalla sensualità primigenia così congeniale a tante ragazze della Romania, perché in questo caso, appunto, io non ho percepito asperità intenzionali, ma un sincero vissuto del sesso come nuda pratica, consumata nel primo anfratto a disposizione, ignara delle temporalità estenuate del sentimentalismo romantico o dell’esercizio libertino. È una parte di me incuriosita dalla prova della mia eccitazione, al vaglio di queste scabre atmosfere. Però stavolta il desiderio di abbandonarmi di nuovo all’estetica del corpo di Erica, e le premesse per un approfondimento non mancano, non potrebbe proprio prescindere da una maggiore liberalità di sé.