Il risveglio primaverile offriva le condizioni ambientali e rendeva impellente il desiderio, dopo le costrizioni invernali, della pecorina in campagna. È la copula primordiale e naturale, di straordinaria densità erotica, cui non a caso, se mai si scrivesse una “Storia del sesso in Lombardia. Dall’arte rupestre camuna alla Binasca”, spetterebbe il primo capitolo. La più antica rappresentazione sessuale che conosco per la nostra regione, infatti, è l’incisione rupestre che adotterò, per la bella stagione, come immagine del mio profilo: la pecorina, appunto, in quanto rito di fertilità connesso ad una scena di aratura, impressa su una roccia in zona di Capo di Ponte nell’età del Ferro. La donna, mentre maneggia un attrezza agricolo, vi si offre, piegando il busto in avanti, alla penetrazione del maschio, dall’attributo molto enfatizzato, aggrappato alle sue spalle.
Chiara è stata la compagna d’avventure. Sembrava scomparsa, ma, come spesso succede, gli spostamenti delle ragazze e il mio girovagare prima o poi regalano una seconda opportunità. Dopo due anni di attività in zona Binasco, lavora sempre in diurna da circa un anno a Carpiano, in una delle stazioni classiche: dopo l’incrocio Binasca/Valtidone, procedendo da Melegnano verso Binasco, a destra, prima del benzinaio, nella piazzola occupata dal chioschetto, coordinate 45.33 5545, 9.24 6989, con seggiola segna-presenza.
Io non sarei riuscito a identificarla. Stavolta, infatti, ho percepito più nettamente la mascella profilata, che tuttavia i capelli biondi lisci oltre le spalle e il trucco contribuiscono ad addolcire un po’. Inoltre l’avrei detta più alta, grazie anche ad un modo di stare in strada più risoluto e impudico. Altro motivo di ringraziamento da levare alla primavera, l’ho infatti vista sotto la luce di una femminilità più espressa, con minigonne, stivali o scarpe taccate che la slanciano, apprezzando un bel corpo formoso e proporzionato, terza piena di seno con capezzolo nitido, cosce tornite, culo in linea, con qualche libbra di carne eccedente di pancetta. Ricordavo però il nome di questa ragazza albanese conosciuta un anno e mezzo fa, e lei stessa mi ha fornito gli elementi dirimenti. Tornano anche gli anni: adesso 25.
Lavora solo coperto e fa il pompino a 20, il boccafiga a 30, l’albergo a 100, niente anale.
Caso evidente in cui la scienza stradale smentisce gli schematismi del materialismo lombrosiano e le attese della tradizione astrologica, il mento volitivo e il sole in Ariete (compleanno prossimo) non corrispondono a spigolosità caratteriali. Pur senza effervescente iniziativa, comunica distesamente. Non si affretta a spogliarsi ma, su richiesta, estrae il seno. Mi segue premurosamente nella guida onde evitare le buche della strada di campagna e mi asseconda nella ricerca di un luogo appartato idoneo alla realizzazione delle mie fantasie.
Usa l’imbosco solito nella zona, ma in occasione dell’ultimo incontro ha accettato di perdere un po’ di tempo (invero premiata da un bonus di 10 per propiziare una situazione più rilassata) al fine di cercare un ambiente più riservato, o meglio in cui fosse possibile essere più spudorati, e meno squallido, inoltrandoci lungo una sterrata dove mi ha detto di non essersi mai spinta, in cui è stato necessario procedere a passo d’uomo e mettere a dura prova la macchina a causa dei profondi e irregolari solchi del fondo.
In occasione del primo incontro, non avendola riconosciuta, ho optato per il solo pompino. Abbiamo usato il mio preservativo e nel complesso ho apprezzato la proiezione a buona profondità, la valida pressione della lingua e delle labbra, che sul goldone ci lasciano il rossetto, e soprattutto, la nota di maggiore merito, una lavorazione circolare di lingua della cappella, in bocca e fuori. Usa anche la mano, un po’ a sega e un po’ per sbatterselo sulla bocca.
La seconda volta la congiuntura equinoziale e i 18 gradi, avvertiti come più tiepidi al sole di una giornata tersa, richiamano alla camporella. Prima il pompino in due posizioni, seduto sul sedile guidatore e in piedi davanti a lei, sul lato passeggero (peraltro mi sono distratto un attimo e mi ha incappucciato con il Serena chiaro che tuttavia, grazie alla sua tecnica, non ha fatto danno). Quindi si raggomitola sul sedile passeggero e posso penetrarla senza difficoltà. Si tratta di una posizione singolare. Se la ragazza scende a sua volta a terra, infatti, mantieni una percezione più diretta del suo corpo. Così invece l’attenzione che presto alla parallela dei suoi due buchetti mentre si sistema è l’ultima prospettiva propriamente anatomica di cui godo. Poi avrò percezione tattile del suo corpo, la penetrazione stessa e le chiappe cui, meno tenero del camuno d’età preistorica, mi aggrappo. La vista però sarà catturata esclusivamente dall’ambiente circostante: mentre frasche rinverdite, che avevamo scelto apposta, mi proteggono da vicino le spalle, di fronte, oltre il tetto dell’auto, si apre la campagna operosa di questi giorni (fortunatamente senza nessuno che la lavorasse proprio in quegli istanti!), le case rustiche e una stalla, lontana sulla sfondo qualche macchina in movimento. Nel respiro l’odore della terra. È una copula totalitaria, io spingo, lei simula un po’, fino alla liberatoria venuta.