Continua da:
1. Aria: aurora consurgens
2. Fuoco: d’amore accesi
3. TERRA: PAN E LA NINFA
Mi ero ripromesso, e vi avevo promesso, che avrei esplorato le potenzialità ulteriori di quello che già mi pareva il più bell’imbosco del Sud Milano, in vista di ciulate naturalistiche. Intuivo infatti che, se non mi fossi accontentato del posto che mi indicava Maria, avrei potuto appagare i sensi nell’immersione in un ambiente di maggiore suggestione. E così ho fatto, in due sedute complementari. Il relativo resoconto (come il prossimo, che finisco per domani) è dedicato a tutti i convinti puttanieri di strada e contiene un (goliardico) auspicio per il ravvedimento di quanti intervengono persino su questo forum per ripetere che bisognerebbe riaprire le case chiuse, basta con le ragazze sui marciapiedi, auspicando una retriva regolamentazione del sesso che seppellisca e nasconda in più o meno tristi zoo ben recintati l’espansione vitale di un contatto primordiale di terra e bosco, che posso solo augurare a chiunque di sperimentare nella sua intensità erotica.
In due belle giornate di primavera, sollecitato dal demone del desiderio meridiano, recluto Maria già in tenuta estiva: occhiali da sole, completino sbracciato e sgambato chiaro, pelle al vento.
Il vecchio Pan le svela il desiderio di amori di selva e la corrompe con un supplemento rispetto al tariffario ordinario, 30 + 10, che ne vinca le molte titubanze, per cercare con calma un posto che piaccia ad entrambi e quindi disimpegnarsi con tutta tranquillità.
Ci dirigiamo all’imbosco solito, la primavera ha rinfoltito i rami scheletrici di novembre, quando ci siamo conosciuti, sicché, percorrendo la sterrata, ci inoltriamo in una sorta di galleria verde che ci introduce magnificamente ai successivi sviluppi. Entrambe le volte, sul posto, abbiamo impiegato del tempo a trovare il nostro angolo ideale. La ninfa appare stranamente timorosa, ben oltre la ragionevole intenzione di non fare dei nostri accoppiamenti stagionali una nuova attrazione naturalistica del Parco agricolo Sud Milano: qui le pare troppo esposto, e se qualcuno passasse in bicicletta? Dietro quei cespugli non è mai stata. Là vede in lontananza, dice, “uno cane negro”, che veramente, pur non tenuto al guinzaglio, non dà fastidio a nessuno, mentre già si inquieta a sentirne abbaiare un altro. Alla fine, però, abbiamo identificato i due teatri adatti ai nostri amplessi, in uno spazio non molto avanzato rispetto al punto in cui lei fa arrestare il cliente, dove la campagna si assapora nell’aria e si sente nei versi della fauna del parco.
L’ambiente più bello, per la scopata però meno riuscita delle due, è stato il laghetto, nella seconda occasione. C’era forse una pallida nostalgia di vacanza adolescenziale in questa fantasia, il fatto che non ho mai scopato in riva al mare in vita mia, per varie ragioni, non ultima… che non amo il mare e non ci vado mai! Però il fascino della ciulata sul bagnasciuga, dove copulano anche la terra e il mare, è restato. Se vi interessa, comunque, visto che la topografia esatta non posso darla per regolamento, chiedete a Maria che ormai conosce il posto: resisterà un po’, come con me, ma saprete insistere e convincerla, grazie al carattere molto mite e disponibile che lei nasconde sotto una prima impressione di ritrosia. Una volta lì dentro, alle vostre spalle potete anche accostare un cancelletto che magari scoraggia il passante di turno; in più, mentre a sinistra il percorso è accidentato, inoltrandovi nel sentiero che costeggia lo stagno grosso modo quadrangolare alla vostra destra, vi portate rapidamente all’angolo che fronteggia l’ingresso, dove non vi vede nessuno mentre voi potete tenere d’occhio eventuali avvicinamenti, qualora proprio capitasse il padrone a spasso con il suo cane. Io, da dietro, guardo con divertimento Maria camminarci incerta sui tacchi, sbilanciarsi e impegnarsi nel mantenimento dell’equilibrio: suscita la tenerezza che si prova quando si porta in montagna la fidanzata che procede impacciata sul sentiero. Stendiamo due spugne, fornite da me, sullo sterrato, al bordo delle acque. Lei si denuda, tenendo il giro di reggiseno sopra le tette che le fuoriescono generose da sotto, sbattendo le mutandine per terra. Io le raccolgo e dico non farlo: guarda ci sono già salite le formiche! Segue strillo tutto femminile. D’altra parte, si vorrebbe una vera camporella senza qualche insetto fra i piedi? Mi sa che proprio qui mi sono rimediato le prime due punture di stagione, motivo per cui penso che per godere della medesima situazione sia ormai necessario l’Autan. La ciulata, come anticipavo, è riuscita un po’ macchinosa, perché la ninfa mi dice di offrirmi la sua verginità di giornata, e in quanto dea della natura non ha con sé lubrificanti artificiali, dispone solo della saliva, sicché all’ingresso risulta un po’ strettina e secca. Dunque dopo brevi preliminari di contatto, dopo il buon pompino coperto fattomi mentre sono schiena a terra, la pecorina si rivela, a tentativi reiterati, faticosa da protrarre. Però è la pecorina che voglio, perché è la posizione che combina la vista-culo, la vista-lago, il contatto-tette e tutto il resto! Quindi cambiamo il preservativo ormai completamente prosciugatosi e appiccicatosi all’uccello, lei rilubrifica, torna a sollecitarmi la piena eccitazione con la bocca e riproviamo. Adesso sì, è diventata più accogliente e la marcia non si arresta più: le cerco i capezzoli e la accarezzo con le mani, con lo sguardo spazio dal suo culo, che ondeggia sotto i miei colpi, agli alberi percorsi dalle edere, al lago o, diciamo la meno poetica verità, all’acquitrino, che però è abbastanza pulito da offrire uno scorcio da “Affinità elettive”, duplicando cioè nello specchio dell’acqua la vegetazione dintorno e il cielo velato da nuvole sparse. Vengo mentre lei aggiunge al rumore di fondo della natura qualche mugolio.
Nella prima occasione, invece, avevamo scelto un tappeto prativo sempre vicino al laghetto, ma al di fuori del relativo recinto, fra gli alberi e un canale che scorre poco più in là, invero più esposto (verso un campetto di calcio), ma in un momento della giornata in cui non c’era in giro anima viva. Stendo i due soliti teli su coloriti fiori ed erbe; Maria si spoglia tenendo solo le scarpe chiare con tacco e il reggiseno che alza; anch’io sono pronto. La temperatura era quella del caldo anticipo d’estate d’aprile, mentre nel laghetto ho percepito una leggera umidità o comunque una brezza più fresca. Effetto che mi accende, la ninfa ha la pelle calda, riscaldata ai raggi dell’attesa nel corso della mattina. Lei mi accarezza il petto e poi vellica lo scroto, io le bacio i capezzoli scuri subito reattivi, e possiamo cominciare il pompino protetto, io sdraiato a pancia in su e lei rivolta verso di me. Andiamo quindi di missionaria, ma non troviamo subito la posizione. Interrompiamo e torniamo al pompino, lei riprende in bocca senza menate e suona il flauto di Pan nel modo più melodioso che ha saputo fare: entrambi in ginocchio, lei flessa nella mia direzione, il trattamento mi risulta molto più piacevole che nel corso della prima sessione, forse perché me la godo nella coinvolgente posizione frontale, e rilancia alla grande la mia eccitazione. Segue pecorina, lei simula discretamente. Si conclude nella posizione che, con la terra per letto, risulta più coinvolgente, la smorzacandela. Sdraiato, sento il suolo sul quale appoggio, mentre alzando lo sguardo ho negli occhi una bellissima verticale: il sole che, quando non è coperto da Maria che sussulta, mi abbaglia, le sue tette piene, il corpo snello che si muove, le labbra singolarmente carnose della sua potta che incorniciano il mio uccello, quando ritmicamente appare e scompare nella sua pancia. In quell’effetto di controluce ho vissuto l’emozione che stavo inseguendo: sentirmi in intimità con un corpo giovane, goderne anche con la vista le armonie femminili, avvertire attorno a me uno spazio esclusivamente naturale e avere negli occhi i raggi della prima luce calda della stagione. È stata una venuta davvero gioiosa.
La ninfa, creatura dei boschi e dei prati della Transilvania, riesce ovviamente a esprimersi solo in modo molto semplice (anche quando ricorda, per analogia, il paesaggio “tanto bello”, come dice sempre con voce trasognata, delle montagne da cui proviene), ma è evidentemente capace di leggermi in faccia la letizia erotica di cui lei stessa è artefice, se mi dice, con parole ingenue ma penetranti: “non ti ho mai visto così felice le altre volte”.