L’annuncio recitava: «Vuoi godere come mai in vita tua? Giovane crocerossina tutta per te. Te lo farò diventare duro come il marmo. Vieni a trovarmi, ti aspetto, saprò soddisfarti oltre ogni immaginazione. Melania».
Umberto era un punter convinto. Se lo poteva permettere, col lavoro che faceva. E non si faceva mancare nulla. La costante necessità di cercare avventure nuove, esternarle agli amici (punter con minori risorse) e vantarsi della sua freddezza come fosse un pregio. Aveva cominciato con le ragazze giovani: adorava le studentesse, quelle dall’aria inesperta. Lo facevano sentire potente. Gli piaceva quel brivido che solo il denaro può comprare. Quel modo di dire senza bisogno di parole: «Faccio di te quello che voglio, sei a mia disposizione». Telefonare nel cuore della notte e comandare: «Ti voglio ora». Chiedere di farlo senza preservativo, per il suo piacere e per il loro imbarazzo. E pagare per quel privilegio, che si faceva così più esclusivo. Ma, col tempo, anche quel brivido era passato. Ora cercava altro. Giochi di ruolo, scambi di coppie, situazioni ambigue. Ecco perché quell’annuncio lo aveva incuriosito. Telefonò, pregustando i possibili sviluppi dell’incontro. Restò positivamente colpito dalla voce remissiva della ragazza. Non discusse il prezzo. Non si informò dei particolari e di eventuali limiti: c’è sempre modo di spostarli, quando si ha il portafoglio più gonfio del pisello. Fissò luogo e ora.
Bologna d’inverno, nelle sere di pioggia, ha un fascino un po’ perverso e misterioso. Scese dal suo Coupè rigorosamente nero, chiuse le portiere col telecomando. Doppio lampeggio delle frecce: unica nota gialla nella via buia e monocromatica. Citofono, ascensore, campanello. Click. Mentre appendeva il Burberry all’attaccapanni, guardò la ragazza con sguardo esperto e misurato. La bionda era carina, probabilmente più giovane di ciò che suggeriva nell’annuncio. Pensò a come sarebbe stato metterglielo dietro. Se le sarebbe piaciuto oppure no. La divisa bianca da crocerossina le conferiva un’aria professionale, fiera e terribilmente provocante. Proprio il tipo di infermiera da domare con un lungo pompino, pensò. Le avrebbe offerto un ulteriore bonus di 100 euro per venirle in bocca, e lei avrebbe accettato, ne era sicuro. Aprì il portafogli ed estrasse lentamente tre banconote da cento. La bionda le prese e le appoggiò sul tavolino senza contarle. Poi lo strinse in un abbraccio morbido. Con mani esperte gli slacciò jeans e camicia e gli accarezzò la pelle che via via restava scoperta. Ci sapeva fare, niente da dire.
«Allora, vuoi giocare con me?», le parole di Melania gli arrivarono come un sussurro all’orecchio. Notò che la ragazza non si era ancora spogliata. Registrò con piacere il dettaglio, segno che le cose si sarebbero svolte senza fretta.
«Tesoro, lascia fare me... io sarò la dottoressa e tu il bimbo malato», gli prese con decisione un polso, sollevandolo verso la spalliera del letto. Freddo. Metallo. Manette. Un brivido gli percorse la schiena. Sì, ci sapeva decisamente fare. Sentì che anche l’altro polso veniva ammanettato e così le gambe.
«Ce l’hai ancora un po’ molle, tesoro, proprio come quello di un bambino... scommetto che da piccolo eri viziato dai tuoi genitori, non amato per quello che eri veramente, ma solo per ciò che potevi rappresentare a loro occhi.» Umberto tacque, incuriosito. «Voglio dire... quel tipo di bambino che viene valorizzato solo nella misura in cui risponde alle aspettative, spesso eccessive, dei genitori. E’ così vero?»
Lui sorrise: «ottoressa, fammi capire... ma la tua specializzazione è in psicologia o in pompinologia?»
«Rilassati, tesoro... mi capita spesso di ‘visitare’ narcisisti come te... bambini mai cresciuti, avidi di compensare i sogni non realizzati nell’infanzia. Desiderosi di eccellere in tutto, di fare sempre bella figura, di essere perfetti. E di avere tutto ciò che vogliono, in un modo o nell’altro.»
Umberto smise di sorridere, mentre Melania proseguiva: «Non sei stato amato per ciò che eri... e ora, a tua volta, sei incapace di amare.»
«Immagino dirai le stesse cose a tutti i clienti, Melania. Ora però vediamo quanto sei brava a farmelo diventare duro...»
«Ti accontento subito, tesoro. Abbiamo detto 300..?», sorrise.
Un’osservazione inutile, ridondante, una caduta di stile, pensò Umberto. Annuì per non sprecare parole.
Dita sottili gli sfilarono le mutande. Non era pronto a quel tipo di sensazione. Un bruciore acuto. Un ago nella carne. Urlò. «Che cazzo…». Immediatamente avvertì una sensazione di caldo al basso ventre. Il pene gli si gonfiò, senza che provasse veramente desiderio. «Che cazzo mi hai fatto?», gridò di nuovo.
La risposta fu un bacio sulle labbra accompagnato da: «Prostatil, 300 µg, con siringa ipodermica, direttamente nei corpi cavernosi. Un sei ore di alzabandiera, direi...».
Senza troppa fantasia Umberto ripeté un «Che cazzz…» che si spense nel vuoto.
Udì un rumore di passi che si allontanavano e una voce: «Adesso puoi scopare quanto ti pare!». La porta si chiuse. Umberto tentò di divincolarsi, ma inutilmente. Melania aveva fatto il lavoro per bene. Manette in acciaio. Letto robusto. Il dolore al pene cominciava a diventare insostenibile. Voltò il capo, torcendo il collo in cerca di qualcosa che potesse venirgli in aiuto. Sul comodino vide una siringa e una fiala vuota. Un foglietto della casa farmaceutica, lasciato lì per lui. Lesse: Prostatil – Indicazioni - Disfunzione erettile. Effetti indesiderati: priapismo, reazioni in sede di iniezione tra cui ematomi, depositi di emosiderina, ecchimosi, edema penieno, emorragia. Sono stati descritti effetti sistemici tra cui dolore e tumefazione testicolare, alterazioni della minzione, nausea, sincope, ipotensione, collasso circolatorio, coma, morte. In caso di priapismo, recarsi al pronto soccorso entro un’ora per il trattamento d’emergenza. Posologia: per iniezione intracavernosa diretta, il range abituale è 5-20 µg; dose massima consigliata: 80 µg. Non superare in alcun modo la dose massima.
Umberto era un punter convinto. Se lo poteva permettere, col lavoro che faceva. E non si faceva mancare nulla. La costante necessità di cercare avventure nuove, esternarle agli amici (punter con minori risorse) e vantarsi della sua freddezza come fosse un pregio. Aveva cominciato con le ragazze giovani: adorava le studentesse, quelle dall’aria inesperta. Lo facevano sentire potente. Gli piaceva quel brivido che solo il denaro può comprare. Quel modo di dire senza bisogno di parole: «Faccio di te quello che voglio, sei a mia disposizione». Telefonare nel cuore della notte e comandare: «Ti voglio ora». Chiedere di farlo senza preservativo, per il suo piacere e per il loro imbarazzo. E pagare per quel privilegio, che si faceva così più esclusivo. Ma, col tempo, anche quel brivido era passato. Ora cercava altro. Giochi di ruolo, scambi di coppie, situazioni ambigue. Ecco perché quell’annuncio lo aveva incuriosito. Telefonò, pregustando i possibili sviluppi dell’incontro. Restò positivamente colpito dalla voce remissiva della ragazza. Non discusse il prezzo. Non si informò dei particolari e di eventuali limiti: c’è sempre modo di spostarli, quando si ha il portafoglio più gonfio del pisello. Fissò luogo e ora.
Bologna d’inverno, nelle sere di pioggia, ha un fascino un po’ perverso e misterioso. Scese dal suo Coupè rigorosamente nero, chiuse le portiere col telecomando. Doppio lampeggio delle frecce: unica nota gialla nella via buia e monocromatica. Citofono, ascensore, campanello. Click. Mentre appendeva il Burberry all’attaccapanni, guardò la ragazza con sguardo esperto e misurato. La bionda era carina, probabilmente più giovane di ciò che suggeriva nell’annuncio. Pensò a come sarebbe stato metterglielo dietro. Se le sarebbe piaciuto oppure no. La divisa bianca da crocerossina le conferiva un’aria professionale, fiera e terribilmente provocante. Proprio il tipo di infermiera da domare con un lungo pompino, pensò. Le avrebbe offerto un ulteriore bonus di 100 euro per venirle in bocca, e lei avrebbe accettato, ne era sicuro. Aprì il portafogli ed estrasse lentamente tre banconote da cento. La bionda le prese e le appoggiò sul tavolino senza contarle. Poi lo strinse in un abbraccio morbido. Con mani esperte gli slacciò jeans e camicia e gli accarezzò la pelle che via via restava scoperta. Ci sapeva fare, niente da dire.
«Allora, vuoi giocare con me?», le parole di Melania gli arrivarono come un sussurro all’orecchio. Notò che la ragazza non si era ancora spogliata. Registrò con piacere il dettaglio, segno che le cose si sarebbero svolte senza fretta.
«Tesoro, lascia fare me... io sarò la dottoressa e tu il bimbo malato», gli prese con decisione un polso, sollevandolo verso la spalliera del letto. Freddo. Metallo. Manette. Un brivido gli percorse la schiena. Sì, ci sapeva decisamente fare. Sentì che anche l’altro polso veniva ammanettato e così le gambe.
«Ce l’hai ancora un po’ molle, tesoro, proprio come quello di un bambino... scommetto che da piccolo eri viziato dai tuoi genitori, non amato per quello che eri veramente, ma solo per ciò che potevi rappresentare a loro occhi.» Umberto tacque, incuriosito. «Voglio dire... quel tipo di bambino che viene valorizzato solo nella misura in cui risponde alle aspettative, spesso eccessive, dei genitori. E’ così vero?»
Lui sorrise: «ottoressa, fammi capire... ma la tua specializzazione è in psicologia o in pompinologia?»
«Rilassati, tesoro... mi capita spesso di ‘visitare’ narcisisti come te... bambini mai cresciuti, avidi di compensare i sogni non realizzati nell’infanzia. Desiderosi di eccellere in tutto, di fare sempre bella figura, di essere perfetti. E di avere tutto ciò che vogliono, in un modo o nell’altro.»
Umberto smise di sorridere, mentre Melania proseguiva: «Non sei stato amato per ciò che eri... e ora, a tua volta, sei incapace di amare.»
«Immagino dirai le stesse cose a tutti i clienti, Melania. Ora però vediamo quanto sei brava a farmelo diventare duro...»
«Ti accontento subito, tesoro. Abbiamo detto 300..?», sorrise.
Un’osservazione inutile, ridondante, una caduta di stile, pensò Umberto. Annuì per non sprecare parole.
Dita sottili gli sfilarono le mutande. Non era pronto a quel tipo di sensazione. Un bruciore acuto. Un ago nella carne. Urlò. «Che cazzo…». Immediatamente avvertì una sensazione di caldo al basso ventre. Il pene gli si gonfiò, senza che provasse veramente desiderio. «Che cazzo mi hai fatto?», gridò di nuovo.
La risposta fu un bacio sulle labbra accompagnato da: «Prostatil, 300 µg, con siringa ipodermica, direttamente nei corpi cavernosi. Un sei ore di alzabandiera, direi...».
Senza troppa fantasia Umberto ripeté un «Che cazzz…» che si spense nel vuoto.
Udì un rumore di passi che si allontanavano e una voce: «Adesso puoi scopare quanto ti pare!». La porta si chiuse. Umberto tentò di divincolarsi, ma inutilmente. Melania aveva fatto il lavoro per bene. Manette in acciaio. Letto robusto. Il dolore al pene cominciava a diventare insostenibile. Voltò il capo, torcendo il collo in cerca di qualcosa che potesse venirgli in aiuto. Sul comodino vide una siringa e una fiala vuota. Un foglietto della casa farmaceutica, lasciato lì per lui. Lesse: Prostatil – Indicazioni - Disfunzione erettile. Effetti indesiderati: priapismo, reazioni in sede di iniezione tra cui ematomi, depositi di emosiderina, ecchimosi, edema penieno, emorragia. Sono stati descritti effetti sistemici tra cui dolore e tumefazione testicolare, alterazioni della minzione, nausea, sincope, ipotensione, collasso circolatorio, coma, morte. In caso di priapismo, recarsi al pronto soccorso entro un’ora per il trattamento d’emergenza. Posologia: per iniezione intracavernosa diretta, il range abituale è 5-20 µg; dose massima consigliata: 80 µg. Non superare in alcun modo la dose massima.