Dato che un collega ne ha fatto menzione vado a scoprire le caselle di Tony Fruttolo e, già che mi ci trovo, anche di jekill99, un tempo fustigatore di Tony e ora censore del sottoscritto... che difatti non colloco fra i colleghi ma fra i loro aguzzini infernali
Nell’ora in cui indolente posai il capo mio, fiacco
nel corpo e nello spirto, su confortevole giaciglio
fui preda d’una visione che il modo mio vigliacco
di narrare non può riportar col giusto appiglio,
con la medesima sorpresa ch’io provai, cedevole
qual sento divenir la penna, la ragione e ‘l suo consiglio.
Vidi io, terribile a dirsi, schiera innumerevole
di punter patir lo scotto degli infiniti loro vizi
nei modi più orrendi e colpimmi la spaventevole
scena di compunti colleghi violati in tutti gli orifizi
che la memoria sia capace di elencare. Svanisce
in me la cognizione di quel che vi trovai, degli artifizi
che ‘l bieco creator del mondo – o che s’asserisce
esser tale – fu capace di plasmare di sua mano nell’oscura
plaga ove dal primo dei giorni soffre e s’avvilisce
l’umana natura creata imperfetta dalla sicura
mano del perfettissimo artefice del tutto. Scema
il ricordo delle turpi punizioni ch’io vidi, la figura
solenne di , che tenea un culo quale emblema,
soverchiato da una natica bitorzoluta e purulenta
che scagazzogli addosso quanto trattenea a patema
di non trovar poscia loco più opportuno. La lenta
mia discesa verso l’abisso si fece di lì più rapida
e incalzante, ‘ché una femmina fetente e macilenta
mi rincorrea da presso gridando quanto sapida
ella fosse intra le cosce e di come soddisfatto
avesse la lubrica passion di . Costui lapida
un demone sbandato e ramingo che d’un sol scatto
m’era già addosso. Sua vita egli mi volle narrare
accompagnando i miei passi: fece egli baratto
della moglie, ed ora si duole che a rabberciare
l’ammanco nelle sotterranee schiere non è voluto,
‘che soltanto a chi conservò dignità in vita è dato entrare
nel novero dei fustigator di porci, non ad un cornuto.
Lasciato il pover’uomo alla trista sua incombenza
di far giustizia del malnato, avvicinommi un ossuto
figuro, sbilenco e sofferente molto, come se l’astinenza
sua dal bere e dal mangiare fosse protratta ormai
da lungo tempo. Giunto infine in mia presenza,
si rivolse a me in codesto tono superbo: “guai
a te che sei di quella triste schiatta usa soltanto
a ricercar giovani donzelle piatte e secche e mai
una milfozza, una chubby o una tettona”. Per quanto
cercasse di mascherare in vario modo sua fattezza,
subito lo riconobbi. “FRUTTOLO son io e il pianto
mio ascolta come fosse il tuo ‘ché l’ebbrezza
che un giorno provai a sconocchiar belle
giovini dal ventre asciutto pago con asprezza,
privo come sono d’ogni nutrimento”. Quelle
che ritenea parole d’un folle che, senza lume
di ragione, ogni castroneria di bocca sua espelle
mi apparvero allora in tutto il nitore e l’arido acume
di un sentito ammonimento. Ma altra voce,
altro schiamazzo destò la mia attenzione. Il barlume
d’una fioca luce rischiarava la pena atroce
che costui subiva a cagione de’ suoi peccati:
una laida vegliarda ai suoi piedi rigurgitava veloce
quando racchiudea lo stomaco suo. Su que’ conati
TONY si gettava rapace e di tutta la fetida sconcezza
facea un sol boccone come fossero prelibati
manicaretti quei grumi gelatinosi. Com’ei s’attrezza
all’ignominioso pasto riceve leste due sferzate
di corda chiodata che lacerano per tutta loro altezza
le carni della schiena e del costato. Le delicate
carezze di giovani fanciulle mai furono ricordi
più lontani. In ordinata fila come ammaestrate
bestie sfilarono altri incalliti puttanieri, curvi e sordi
ad ogni offesa, e ognun di loro a turno ricevea pari
castigo. “Quei che tu vedi patir siffatta pena son lordi
d’ogni sozzura giacché in vita sprecavano lor danari
inseguendo il fuggevole piacer di letto in letto.
Ora vagano senza posa, di quel che li attende ignari.
Son io detrattor degli altrui vizi, e indicibile diletto
provo a tormentare chi ha sperperato i suoi guadagni
in facili sciacquette. Primo a dar animo al sospetto
fui io un tempo, JEKILL99 era il mio nome e ai calcagni
di costoro giorno e notte vago, in attesa di espiazione.
Allontanati adesso, prima che il sangue impuro bagni
i tuoi calzari”. Tornato muto, volse sua attenzione
nuovamente ai poveri dannati e con sonora vergata
scosse e mosse il passo della silente processione.
Di là dallo sterrato intravidi un’anima accasciata
che subiva ‘l supplizio di colui che le labbra volea unite
a quelle della pay di turno, sicché l’inaspettata
mia comparsa in quel frangente interruppe la lite
di due castigatori per chi avesse la precedenza
nello strappar sua lingua di bocca. Le avvilite
fattezze di faceano mostra della sofferenza
di chi, due pinze piantate in fondo al cavo orale,
era prossimo a perder strumento di favella. Senza
indugio alcuno volsi mio sguardo dall’infernale
afflizione, attratto come fui dal soave scrosciare
d’un ruscello ch’io non potea vedere ma che il male
alle mie spalle rendea miglior rifugio. Varcare
lo stretto passo infra due montarozzi alti e aguzzi
non fu agevole impresa, ma quasi non saprei narrare
la sorpresa ch’io vi trovai: immerso fra gli spruzzi
d’un fiumiciattolo biancastro, denso e lattiginoso
stava a fauci spalancate. A quell’infera jacuzzi
era condannato colui che, non pago d’un caloroso
rapporto intendea farsi specialista di cimmate.
Avviluppato in stretti legacci ora subisce il vorticoso
fragor dei flutti. Sentendo le capacità ottenebrate
da cotanta divina grandezza presi altra via, più discosta
dal luogo senza nome ove mi pareano venir somministrate
in maggior copia le più soverchie penitenze. Posta
su una scoscesa ripa scorsi una terrazza ove nessuno
mostrava ‘l segnacolo della dannazione, sicché una sosta
non sembrava doversi consumare in loco più opportuno.
Camminando con passo attento lungo il bordo del dirupo
pervenni a porre ‘l piede in quell’ostello ove ciascuno
degli afflitti desiava in còr suo scordare un giorno ‘l cupo
ambiente ch’avea attorno. Lì vi trovai
compostamente assorto a scrutare in basso come lupo
che tiene d’occhio il gregge. Tenea serrata una lista
lunga molto di dannati, e ad ogni sguardo facea segno
a’ suoi assistenti di operare. Una terrifica creatura mista
d’uomo e di bovino scalpitava allora sino in valle, pregno
d’odio e di rancore quanto in vita fu disponibile al sollazzo,
agguantando l’anima perduta e menandola ove ‘l disegno
divino volea ch’andasse a macerarsi. Fra lo schiamazzo
de’ disperati udivi allora muggir di rabbia .
Lontano com’ero distinguevo a stento fra il fitto mazzo
dei sofferenti la novella vittima prescelta e a quale
tormento fosse condotta, indi prevalse in me la decisione
di riprender l’angusta via che, superato appena il crinale
ch’avea sul retro, mena dritta al fondo del burrone.
Ivi vi trovai tre persone, tre tristi figuri strettamente legati
ognuno ad un tronco secco e spoglio simile a pennone
di naviglio, ed anzi più che di esseri da spirito animati
aveano sembianza d’immobile polena. Uno era percosso
con grandissima violenza in pieno volto, d’ambo i lati.
Il suo aguzzino, vedendomi curioso e a un tempo scosso,
volle darmi spiegazione: “è su Gnaffete che mi accanisco
con cieco e insopprimibile furore. A tale uffizio fui promosso
quando venne l’ora sua di pagare il fio, e non compatisco
l’anima persa cui destino quanto è in mia podestà
d’infliggere a piacere e in abbondanza ed anzi non capisco
come si possa provare pena per colui che innegabile beltà,
giovane e prospera, a questa stessa operazione ha destinato
con ben altro arnese”. Muovendo il cuore mio a pietà
di fronte a siffatta scena, volli sapere chi fosse il malcapitato
suo compagno di sventura, ed egli così rispose: “
nomano costui, e quand’era in vita s’era congeniato
d’elevare una manovella ad opera d’artista. La diletta
mano ch’egli lodò quale spergiuro or lo condanna
allo strazio continuo e mai interrotto d’una stretta
femminile sul basso ventre, senza che nulla dalla canna
possa fuoriuscire a suo sollievo”. “Mi pare giusta cosa,
se non eccedo, avere numi sul reietto che s’affanna
con alte grida ad elencare quanto compiuto nella ritrosa
sua esistenza”. “ credo lui sia, ma non son certo
quale colpa debba scontare. Come altri, urla senza posa
a squarciagola benché mai nessuno gli abbia inferto
un sol colpo, e a me non è dato d’intervenire”. Tante
le sofferenze ch’io vidi nel mio viaggio che, aperto
lo sguardo su un verde campo lì dappresso, fragrante
consolazione provai alle mie angustie nel vedere
attorniato di giovani pulzelle un brav’uomo distante
men di trenta passi. A lui mi diressi presto con fiere
falcate scorgendo con sempre maggior nitore le aggraziate
forme delle giovinette, dubitando che fossero vere
le deliziose ancelle e non piuttosto il riverbero di celate
fantasie, ma un demonio arrestò il mio passo svelto:
“desisti, non ti è concesso appressarti alle inveterate
pene di costui. Quei che tu vedi è Ardito62 e non ha scelto
lui di sostar così, bensì è il ferale supplizio che gli è dato
in contraccambio ai passati vizi suoi. Se non vuoi divelto
il capo dal collo, vai per altra via”. Forse comprese l’innato
mio bisogno di saper dei fatti altrui, o forse lo sbigottimento
avevo tale sul volto che così continuò: “non essere ingannato
dai lascivi gusti tuoi, non immagini quale patimento
sia per lui esser circondato da tale ridda scalmanata
notte e dì, starnazzante una lingua di cui non ha discernimento,
abituato a trattar solo italiane e per giunta d’età avanzata.
Quelle per cui morresti son per lui racemi senza frutti”.
Coi sensi risvegliati a nuovo ardore e ormai acclarata
la funzione delle soavissime ragazze e dei loro asciutti
corpi, feci cenno di commiato al bieco mio interlocutore
muovendo mia misera sostanza corporale tra i flutti
d’incombente dolore di quel luogo. Con stupore
rinnovato ad ogni passo mi avvidi di poveri resti umani,
solo gambe e braccia e uno sparuto brandello di colore
d’un qualche tessuto, che spuntavano di sotto ai deretani
flaccidi ed enormi di due grasse meticcie sfatte
cui pure il suolo aveva fatto conca per contener gli inani
muscoli chiappali. Non posso dir di quali astruse schiatte
fossero, se in Africa o in America avessero avuto i natali,
men che mai oso dirvi che le membra ch’io credea tratte
dal corpo presero a muoversi come cosa viva, tali
a creatura senziente che invochi soccorso. Con voce roca
parlommi una matrona: “ammòre, come in vita, uguali
nel patimento son coloro su cui sediamo e la cui poca
sostanza schizza via ad ogni nostro movimento
Incredulo qual sei, hai ora consapevolezza di come alloca
l’infallibile giustizia ogni peccator al suo tormento
poiché costoro solevano montar di gusto discinte signore.
Invero siamo noi fermamente piantate al momento
su di loro, e così sarà in sempiterno dacché l’onore
che ora ci è dato non sarà mai pari a quanto ricevuto
in terra da e dal scialacquatore
, da , da e dall’irsuto
cliente con cui copulammo dopo uno massaggio”.
Testimone attonito di tal rivalsa, sentii accresciuto
in me l’orrore e più vivamente sprezzai il paesaggio
dolente che l’immoto creator del movimento celeste
volle predisporre qual meritato premio al coraggio
di pagar donne d’appartamento. Avvilite e meste
sembianze avea l’anima che per sua lussuria ha fatto
penar gran numero di donne e le abitudini funeste
ora ripaga con dure tribolazioni. Il volto contratto
in uno spasimo d’agonia ch’io intravidi confitto
saldamente in un ammasso di monete d’oro che intatto
mostrava suoi bagliori di lontano credea suo diritto
di parlarmi come fece: “tu che assorto vaghi nel mondo
di sotto senza aver conosciuto morte, quale scritto
credi di comporre coi tuoi appunti? L’amor infecondo
cercai io in vita e quel poco denaro che m’avanzava
tutto destinavo al meretricio. Ora vedi come abbondo
di ricchezze d’ogni sorta ma l’immane peso loro grava
sulle mie spalle ed io, immobile e ritto in questo cumulo,
non posso farmene trastullo. L’anima mia è fatta schiava
d’una immota eternità”. “Quelle righe che io accumulo
scrutando fra le afflizioni saranno d’ammonimento
alle genti presenti e future – dissi guardando al tumulo
e alla testa di – il cui ferino atteggiamento
è pari se non peggior del vostro e ben cosciente
sono che anch’io verrò a far numero fra voi”. Lento
mossi il piede mio in altra direzione e, qual penitente
che s’avvicina a sacro suolo dopo aver vacillato
in speranza nel periglioso cammino, resi al potente
fattor dell’universo il dovuto omaggio. Dinoccolato
e molle come potea esser dattero snocciolato, interruppe
l’intimità fra la transeunte mia essenza e l’Increato
un infelice figlio di Abramo e sua frustrazione eruppe
in accorata protesta: “tu che ancor conservi l’ossa
nel tuo corpo, credi forse che le maligne truppe
che di noi fan scempio, facili all’ira e alla percossa,
protervie fra genti tanto mansuete, abbiano senno
e volontà propria? o non prendano piuttosto mossa
dal comando del Vertice che preghi? “ Ad un accenno
mio di risposta aggiunse con tono fermo e sicuro:
”dalle colpe che son chiamato ad espiare depenno
ogni dì qualcuna che mal s’adatta all’ingrato e duro
modo con cui sono trattato, ma ancora mi è ignota
la ragione del supplizio. Non fui ladro né spergiuro,
non brigai contro alcuno né altra pecca credo scuota
mia coscienza. Soltanto con donna consenziente
appagai i miei bisogni, eppur la mia carcassa vuota
testimonia di qualche ammanco. Tale ero valente
e in forze che da quattro demoni fui afferrato
di soppiatto e, ognun stringendo un arto, fortemente
un quinto mi dilaniò le carni e, dopo averne staccato
ciò che unite le tenea con indicibile mio patimento,
mi richiusero simile a sacco, inerte e afflosciato,
incedente a ruzzoloni per solo merito del vento”.
“Comprendo l’animosità che mostri ma credo di sapere
la logica sublime che sottostà al tuo avvilimento.
Sei tu e in vita preferisti contenere
la foga d’un amplesso mercenario usando con destrezza
un artificioso strumento di meccanico piacere.
Come consapevolmente hai rinunciato alla pienezza
del ruolo tuo inserendo un corpo duro nell’incipiente
vagina cui lasciasti il pattuito, con altrettanta prontezza
sei stato ripagato”. Detto ciò, mi voltai subitamente
a cercar con l’occhio altra sevizia. Cinta di gravi catene
una piccola figura scorsi, vittima soltanto dello svilente
suo bisogno carnale, e fu tra le più strazianti scene
apparitemi nella spelonca: schiacciato e rattrappito
dal movimento verticale di gigantesche poppe aliene
d’ogni compassionevole sentimento umano, colpito
a ripetizione sul capo e sul collo, ridotto a poltiglia
putrescente stava quale mai avrebbe partorito
fantasia d’artista su astratta tela. Ogni ammenda è figlia
d’una colpa, ed egli sconta l’irriverente schiribizzo
di porre sul gonfalone suo quella stessa pariglia
di zizze imbizzarrite di cui volle farsi cavallerizzo
esperto. Tali cose vide e volle riportare a voi
l’umilissimo e impenitente servo vostro Megabizzo.