Mi sono imbattuto in Maria, protagonista delle due discussioni, di cui chiedo al supervisore l’unione. Opera sempre a Sesto, in via Gramsci, nella postazione immutata dai precedenti racconti. È in piedi all’altezza della fermata dell’autobus, nel punto di cui sopra sono già state date le coordinate esatte, che ricopio: 4 5 . 5 5 0 8 9 1 , 9 . 2 4 6 9 0 9. Racconta che è tornata al lavoro da appena una settimana, dopo essersi trattenuta per ben “dui mesi” in Romania.
Ha un bel viso tondo e sorridente, capelli lisci adesso biondi, mi dice di avere 23 anni (i conti tornano), per me è alta, al naturale, sull’1 e 65, è proporzionata.
Veste abiti severi, che ne rendono il profilo più elegante che provocante. Articola un tariffario che ha i limiti che sono già stati presentati: sempre niente di scoperto e niente culo, quindi solita progressione dei 20 (pompino, per cui opto), 30 (boccafiga), 100 (albergo).
Non è un’estroversa, però è simpatica, parla di sé in modo telegrafico ma non vuoto: famiglia, sesso, piacere e lavoro, salute.
Ci dirigiamo nell’imbosco, un parcheggio fra case potenzialmente esposto alla curiosità di guardoni alle finestre, però protetto grazie ad una scarna vegetazione urbana dal passaggio della strada, nel quale, infatti, grazie anche all’ora tarda, non transitano “civili”, ma solo un paio di avventori dello stesso tipo di esercizio, cosicché possiamo sistemarci abbastanza tranquillamente fra una macchina e l’altra.
Si scopre il seno, gesto di disponibilità spontanea che già da solo qualifica un’attitudine di disponibilità. Le tette mi paiono una seconda morbida: poggiando sul reggiseno abbassato è ovvio che non rendano il meglio della loro estetica, ma sembrano provate dalla maternità di cui mi ha raccontato, mentre il capezzolo è consistente al tatto. Comunque la patina adolescenziale Maria l’ha persa da un po’. Sotto resta vestita, ma indossa leggings o comunque un indumento elasticizzato che consente il contatto epidermico, anche se quando mi avvicino alle parti sensibili fa un mugolio d’arresto che rispetto, limitandomi ad accarezzarla, anche perché sarebbe difficile andare oltre visto che rimane seduta, non si inginocchia sul sedile. Cerca di farmi partire con una stimolazione manuale dell’uccello che poi veste con il soprabito rosso. Rimuove con il fazzolettino la lubrificazione (ma allora cosa li prende a fare aromatizzati alla fragola? È forse uno strumento di tortura del cliente fine a se stesso?) e lo imbocca. La presa è buona e scende abbastanza lungo l’asta, irrora ampiamente tanto che la saliva scorre lungo l’asta e (inevitabilmente) sul sedile, anche se variazioni da attrice porno non ne ha imparate col tempo. Le chiedo un intervallo manuale, cui attende con energia e guardandomi stuzzicante. Alla fine riprende in bocca e mi fa sfogare per bene.
Mi porge un paio di fazzolettini asciutti che si prenderà in carico lei insieme agli altri resti.
Torniamo al suo posto al ritmo di valzer, grazie alla stazione radio sulla quale sono sintonizzato, che trasmette l’aria “Libiamo ne’ lieti calici”, fortuito brindisi in onore dei "dolci fremiti che suscita l'amore" mercenario e di questa gentile cortigiana così poco traviata.
Ha un bel viso tondo e sorridente, capelli lisci adesso biondi, mi dice di avere 23 anni (i conti tornano), per me è alta, al naturale, sull’1 e 65, è proporzionata.
Veste abiti severi, che ne rendono il profilo più elegante che provocante. Articola un tariffario che ha i limiti che sono già stati presentati: sempre niente di scoperto e niente culo, quindi solita progressione dei 20 (pompino, per cui opto), 30 (boccafiga), 100 (albergo).
Non è un’estroversa, però è simpatica, parla di sé in modo telegrafico ma non vuoto: famiglia, sesso, piacere e lavoro, salute.
Ci dirigiamo nell’imbosco, un parcheggio fra case potenzialmente esposto alla curiosità di guardoni alle finestre, però protetto grazie ad una scarna vegetazione urbana dal passaggio della strada, nel quale, infatti, grazie anche all’ora tarda, non transitano “civili”, ma solo un paio di avventori dello stesso tipo di esercizio, cosicché possiamo sistemarci abbastanza tranquillamente fra una macchina e l’altra.
Si scopre il seno, gesto di disponibilità spontanea che già da solo qualifica un’attitudine di disponibilità. Le tette mi paiono una seconda morbida: poggiando sul reggiseno abbassato è ovvio che non rendano il meglio della loro estetica, ma sembrano provate dalla maternità di cui mi ha raccontato, mentre il capezzolo è consistente al tatto. Comunque la patina adolescenziale Maria l’ha persa da un po’. Sotto resta vestita, ma indossa leggings o comunque un indumento elasticizzato che consente il contatto epidermico, anche se quando mi avvicino alle parti sensibili fa un mugolio d’arresto che rispetto, limitandomi ad accarezzarla, anche perché sarebbe difficile andare oltre visto che rimane seduta, non si inginocchia sul sedile. Cerca di farmi partire con una stimolazione manuale dell’uccello che poi veste con il soprabito rosso. Rimuove con il fazzolettino la lubrificazione (ma allora cosa li prende a fare aromatizzati alla fragola? È forse uno strumento di tortura del cliente fine a se stesso?) e lo imbocca. La presa è buona e scende abbastanza lungo l’asta, irrora ampiamente tanto che la saliva scorre lungo l’asta e (inevitabilmente) sul sedile, anche se variazioni da attrice porno non ne ha imparate col tempo. Le chiedo un intervallo manuale, cui attende con energia e guardandomi stuzzicante. Alla fine riprende in bocca e mi fa sfogare per bene.
Mi porge un paio di fazzolettini asciutti che si prenderà in carico lei insieme agli altri resti.
Torniamo al suo posto al ritmo di valzer, grazie alla stazione radio sulla quale sono sintonizzato, che trasmette l’aria “Libiamo ne’ lieti calici”, fortuito brindisi in onore dei "dolci fremiti che suscita l'amore" mercenario e di questa gentile cortigiana così poco traviata.