Comparvero all’improvviso in una notte d’amore rubato al tempo. Bianche e lucide uscirono da un fosso colmo d’acqua piovana, squarciarono l’oscurità e mi cambiarono per sempre la vita.
Era l’anno di Halley, la cometa. Alta nel cielo si faceva ammirare tutta la notte. Era l’estate di Roberto Baggio al Bologna. Era l’estate dell’assassino con la balestra. Era il caldo luglio del mio servizio militare. Erano i giorni in cui Meredith Brooks cantava "I’m A Bitch", sono una puttana, ed era l’ultima licenza breve.
Arrivai in treno il venerdì sera alle otto. Venne a prendermi Paolo. Ci sopportavamo dalla terza elementare. Elementari, medie, liceo e quattro anni di università. Sempre a sgobbare sui libri fianco a fianco, gomito a gomito. Sigarette mie, sigarette tue. Stadio, alcool, discoteca, vestiti, moto. Avevamo sempre diviso tutto, eccetto le donne. Il femminile era l’unico campo in cui avevamo gusti diversi. Una grande amicizia o una grande tortura. A volte il confine era sottile.
Mi addormentai appena salito sulla sua auto. Venivo da una settimana di guardia armata. Tre ore di sonno a botta. Mi svegliai che era mezzogiorno. Il solito qualcosa di cui avrei dovuto ricordarmi ronzava fra le pareti della mia testa. Arrivò Paolo, prendemmo il caffè, e mi ricordò del party pomeridiano. Il ronzio era spiegato. Casa di Joe ore 18: annuncio del fidanzamento di Joe e Laura. A seguire, rinfresco e orgia alcolica nel giardino di Villa Rubbi-Varani. Una scusa per ufficializzare quello che tutti sapevano. Laura incinta di due mesi e matrimonio necessario.
Arrivammo alla Villa mentre iniziava un temporale di proporzioni bibliche. La pioggia annullava il ricevimento in giardino mutandolo in un "cinque stanze" party. Il temporale fu la grande fortuna della festa. Conoscevo meno della metà dei presenti. Costretti in poco spazio a socializzare, gli invitati attaccarono con vigore il mobile bar. Mi aggiravo captando discorsi a brandelli. I ragazzi discutevano del grande colpo: Roby Baggio al Bologna. Un affare incredibile o l’autobus diretto per la serie B. C’erano opinioni contrastanti. Se qualche boy timidamente parlava anche di politica, le girls erano monotematiche. Leader indiscusso dei loro discorsi era Lui, l’assassino con la balestra. Tre vittime in settanta giorni. Tutte giovani ragazze. Tutte uccise da un dardo scagliato dritto nel collo.
Un tipetto dagli irritanti capelli rossi preparava Coca e Havana Club a pieno ritmo. Bottiglie di Absolut Vodka cominciavano a fiorire nella sala. Odore di marijuana avvolgeva le labbra di una mora dal seno spropositato. Caldo, alcool e musica anni ottanta. La gente era eccitata. Joe, il festeggiato, si era tolto la giacca e si faceva intervistare da una bottiglia di gin in mano a una bionda da galera. L’ergastolo era un prezzo accettabile per una notte con lei. C’era odore di sesso. Inequivocabile.
Lo stereo urlava "You spin me round like a record, round, round...". Agganciai con lo sguardo Paolo mentre arpionava in un ballo la mora dal seno spropositato. Con quelle tette era per forza il suo tipo. Andai al bancone e mi riempii un bicchiere di vodka. Una ragazza dal fisico snello mi si fermò davanti. Accesi una sigaretta. I suoi occhi verdi furono troppo per me. Era infilata a forza in un vestitino nero. I capelli a caschetto le incorniciavano il viso minuto. Mi chiese un Coca e Rhum. Le versai un Vodka e Havana affogato nel ghiaccio. Disse che era il drink migliore della sua vita. Le dissi che il suo collo era la cosa più sexy dai tempi di Brigitte Bardot. Mi chiese come mi chiamavo. Risposi chiedendole di sposarmi. Disse di sì e mi baciò. Parlammo per ore bevendo Vodka e Havana Club. Mi parlò dei suoi studi e degli impegni di volontariato. Le parlai del militare nei paracadutisti. Mi descrisse la sua casa ideale. La disegnai su un tovagliolo giallo.
La pioggia finì. Joe era a pezzi sul divano. Dormiva tenendo in mano un bicchiere il cui contenuto colava lento sui pantaloni. Paolo era incollato alla bocca della mora. Tutti gli altri mi sembravano spettri che si allungavano su di me. Cominciavo a soffrire la situazione e volevo andarmene. Occhi verdi si allungò verso il mio orecchio. Disse che voleva infangarsi, si alzò mi prese per mano e uscimmo in giardino. Camminammo abbracciati sotto gli alberi. Ci baciammo e facemmo l’amore in piedi, mentre il sole tramontava lasciando via libera alla luna.
Infangata e felice mi chiese di accompagnarla a casa. Prontamente le offrii il mio braccio. I tornanti a finestrini aperti e aria fra i capelli erano qualcosa di elettrizzante. La notte era tutta per noi. Avevo di nuovo voglia di fare l’amore.
Fu lei la prima a vederle. Le si sbarrarono gli occhi e prese a urlare. Inchiodai all’istante e chiesi cosa non andava. Aveva visto due gambe uscire dal fosso alla nostra sinistra. Ci pensai qualche attimo e decisi: non si possono lasciare due gambe che escono da un fosso. Feci inversione e accesi gli abbaglianti. Poche decine di metri e le vidi: uscivano dritte come paletti dal fosso pieno d’acqua. Posizione innaturale. Colore innaturale. Scesi, convinto di vedere un cadavere. Ma loro erano troppo rigide e sollevate da terra, e io un idiota a lettere cubitali. La parte inferiore di un manichino. Che scherzo idiota. Qualcuno nell’oscurità stava sicuramente ridendo di me. Salii in auto e le appoggiai una mano sulla gamba per rassicurarla. Appiccicosa. La sua gamba, la mia mano, il sedile. Tutto era pregno di un liquido denso e caldo. Mentre ogni tassello andava a posto, mi girai. Lacrime silenziose cominciarono a bruciarmi gli occhi. Bianco e lucido. Un lucido prisma di metallo che mi fissava. La freccia le aveva attraversato la gola.