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C’è la studentessa di psicologia che dal tardo pomeriggio all’alba del giorno dopo incontra 40 clienti. Uno dopo l’altro. Ognuno di loro vale una fumata di crack. E la fumata diventa più lunga a seconda di quello che lei è disposta a fare. C’è la barista che stacca dal locale di piazza Vittorio alle undici e mezza di sera. E che finito il turno, per arrivare alla casa del crack più in fretta, paga un taxi: «Così ci metto solo 9 minuti». C’è la madre di una bambina: contattata in serata perché serve una «puttana» (come vengono letteralmente definite le giovani nelle intercettazioni) in più al festino, dice: «Non posso, sono con mia figlia». Ma dopo 10 minuti richiama: «Posso stare mezz’ora». E dopo quella mezz’ora, fumati i 20 euro di crack che le spettano, supplica: «Se resto ancora un po’, cosa riesci a darmi ancora?».
Sono studentesse universitarie, lavoratrici, madri. Sono donne insospettabili le vittime del crack. Invischiate a tal punto nella dipendenza di una delle droghe più devastanti – ma anche più vendute a Torino – da restare quattro giorni consecutivi in un alloggio fetido, per drogarsi e prostituirsi. Anzi, per prostituirsi e drogarsi. Perché riguardo alla scansione delle azioni, dei tempi e dei ruoli, Monique, la donna transgender che gestiva clienti, pusher e tossicodipendenti distrutte, era inflessibile. Tanto da contare il sesso al minuto. E dal saperlo trasformare in grammi di “roba”. «Portamene 35, capito? Ne voglio per 35 euro giusti. Con la busta aperta, che la scorsa volta mi hai portato più carta che anima», ordinava al telefono a uno degli otto pusher di fiducia. E Monique, da vera maniaca del controllo, presenziava a ogni incontro. Il sesso era spesso di gruppo, nella sua casa. Le ragazze, mai sole con il cliente. Lei guardava. O partecipava. Mentre gestiva centinaia di telefonate. Quelle che hanno consentito, tra l’altro, alla pm Chiara Maina di risalire a molti personaggi del popolo del crack.
Ieri si è concluso il filone dibattimentale del processo scaturito da una lunga indagine svolta dai carabinieri. Sul banco degli imputati c’erano i due presunti complici di Monique, condannata in abbreviato a due anni e otto mesi di reclusione e 3mila euro di multa per sfruttamento della prostituzione. Sono stati entrambi assolti su richiesta delle avvocate Stefania Agagliate, Silvia Bregliano e Flavia Pivano: «Signor giudice, qui hanno fatto un castello, ma parliamo di drogati» ha esclamato uno dei due. «Non sono un santo – ha detto l’imputato rendendo dichiarazioni spontanee – ma non sfrutto le persone. Adesso vado al Serd, ho smesso. Non c’era gente che diceva fai questo o quello. Eravamo solo dei drogati». Oltre ai due assolti e a Monique, due spacciatori che rifornivano la casa hanno patteggiato pene a oltre un anno di reclusione. A uno sono contestate oltre 108 cessioni di droga.
Via Urbino 33. La Torino del crack è al piano terra di un palazzo di mattoni rossi. Oltre il cancello bianco che delimita l’aiuola condominiale di erbetta all’inglese. Oltre le due colonne grigie. «Poi giri a destra e sei arrivato» raccontava una ragazza sentita dai carabinieri, che hanno osservato per settimane, grazie alle telecamere, l’incessante processione. Il crack lo fumavano tutti, clienti e donne costrette a vendersi per il bisogno di droga. «Quand’è che mi organizzi una serata? Due puttane, io porto il resto», diceva un cliente al telefono. E Monique rispondeva: «
ue ci sono già. Ovviamente non puttane che si fanno pagare. Fanno quello che facciamo noi».
E quello che facevano loro, che facevano tutti, in quella casa lurida con le feci di cane sui fogli di giornale sparsi a terra nel bagno, era fumare il crack. Anche i pusher, dopo le consegne, si drogavano. E anche loro, a volte, facevano sesso. Ordinando, come gli altri, quello che volevano. «Ne ho qui una favolosa, magra, fisico da capogiro, ma vuole 30 euro! Cosa le dico?”» chiedeva il “capo”. Se la donna era in crisi d’astinenza, il suo corpo valeva di meno: era la regola spietata per chi stava toccando il fondo. Un rapporto sessuale poteva scendere anche sotto i 20 euro, quando di solito costava 50. «Prima lo facevo, prima potevo fumare – rivela una studentessa –. Ho conosciuto almeno dieci ragazze che si prostituiscono per Monique. È una prostituzione strana, nel senso che non c’è mai un’entrata di soldi. Il denaro che la ragazza guadagna viene subito investito nel crack che si fuma. Stavo a casa di Monique anche per quattro giorni di fila e avevo rapporti con 30 o 40 clienti al giorno. Tutto il denaro me lo fumavo subito. Tutto in crack».