Il padrone dell’imbosco. Bozzetto campestre
Manca un protagonista, di norma, nel nostro romanzo collettivo di strada popolato di ragazze che compaiono, spariscono e tornano, ci fregano o ci appagano, forze dell’ordine che ci tendono agguati, colleghi che ci sottraggono le predilette: il proprietario delle terre che invadiamo alla ricerca del momento di piacere. Dedico quindi a quest’ombra una divagazione estiva, anche se l’ambientazione è primaverile, una pagina di risarcimento. Siccome i fatti sono reali, di lui non dirò niente che ne consenta l’identificazione personale, in considerazione delle sue ragioni di riservatezza, ma solo che manda avanti una cascina presso una delle principali strade lombarde dell’amore agreste a pagamento, diurno e notturno: la Binasca.
L’ho conosciuto nel corso di una vicenda dai risvolti surreali. Qualche mese fa ho perso il cellulare. Suppongo lo smarrimento e non il furto perché ormai valeva il prezzo del mero recupero dei materiali. Al massimo poteva interessare esaurirne la ricarica ad un ladro situato all’ultimo gradino della destrezza, eppure dopo aver bloccato (onde non mi fossero attribuiti traffici d’armi, trame terroristiche e crimini balcanici dei più vari) e recuperato, con grande fatica, il numero, ho riutilizzato fino ad agosto il credito di una ricarica di 15 euri fatta a dicembre (!). È vero che nessuno mi ha contattato per comunicarmi l’avvenuto ritrovamento. Ma ad un pranzo di famiglia una ragazza sosteneva che chi rinviene casualmente un telefono, se manca un secondo recapito evidente del proprietario, chiama il primo nome in rubrica. Le ho chiesto: “se è Alexia?”. Lei: “il secondo”. “Se è Alicia?”. Con decrescente speranza: “il terzo”. “Se è Anastaxia?”.
Come apparecchio tecnologico, insomma, non interessava più a nessuno, il credito non è stato sfruttato ed è plausibile, anche se il mio tipo di rubrica potrebbe non aver incoraggiato un’etica della restituzione, che io l’abbia smarrito in un luogo dove non è stato recuperato. Per questo mi sono convinto di averlo perso sul campo di battaglia, durante una pecorina all’aria aperta, nel momento di cui ho già sperimentato l’insidia, quando si calano i pantaloni che si avvolgono a terra e la tasca si rovescia. Mi era infatti già capitato dentro l’abitacolo, allorché, a fine amplesso, la soccorrevole biondina mi porse il cellulare raccogliendolo.
Siccome mi seccava molto per la rubrica e per un numero di lavoro cui è collegata una firma digitale, l’ho cercato. La domenica di Pasqua ho fatto il primo sopralluogo nel punto dell’ultima camporella. Con l’idea di non intralciare, e di non farmi intralciare, dall’attività di ragazze che più o meno conosco tutte, mi metto all’opera prima di loro, alle otto circa del mattino in cui è stata reintrodotta l’ora legale. Il proprietario si ritrova uno sconosciuto in un angolino dei suoi campi che, con fare sospetto, cerca pazientemente qualcosa, lungo una sterrata fra terre arabili che, presto smosse, e cespugli concorreranno al fallimento dell’impresa, e mi avvicina. Ci tornerò comunque un’altra mattina ancora, sempre presto, con una nebbiolina fuori stagione aleggiante sulle zolle, e per un ultimo tentativo con il metal detector portatile prestatomi da un amico. È un oggetto che l’abitante della cascina conosce, per avere già incrociato un cercamonete, e che attrae la curiosità, tanto che anche stavolta resta con me un bel momento a fare quattro chiacchiere e a vederlo in funzione.
Ci presentiamo: è un uomo di mezza età con una di quelle teste quadrate che Gianni Brera avrebbe attribuito alla discendenza dai più antichi abitanti della valle del Po, ha un nome che sarebbe piaciuto ad un altro grande narratore della bassa come Guareschi, ed è incline a conversare con misurata cordialità, ricorrendo al tu facile. Gli spiego che il mio cellulare non era che è un vecchissimo piccolo parallelepipedo scuro, ad una mia amica ricordava una lapide, senza nemmeno l’occhio inquietante della fotocamera. Anche lui mostra il Nokia con un certo compiacimento per la sua arcaicità. Cerca di aiutarmi. Avrebbe provato a chiamare per cercarlo con lo squillo, ma il mio è stato perso spento. Insiste per ricontrollare con me sotto il sedile della macchina perché è convinto che è il primo posto dove scivolano.
Con molta naturalezza veniamo a parlare delle ragioni delle mie frequentazioni del luogo. Mi chiede senza giri di parole se fossi venuto da quelle parti a scopare, se fossi io il proprietario del coupé giallo che si era fermato nel tale punto della sua proprietà, ma poi fa caso che ho una macchina completamente diversa e che quell’altro non si era spinto in una posizione così avanzata. Ho capito, allora, che anche quando ci guardiamo bene attorno, è costante un controllo visivo del territorio da parte di chi lo pratica regolarmente.
La sua conoscenza dello spazio circostante si allarga alle presenze più significative, sulla Binasca le presenze femminili. È stupito che il pallido e magro cittadino che ha di fronte se le sia fatte passare più o meno tutte. Ma anche lui le ha ben presenti e in un raggio di decine chilometri. Anche senza il forum, che non conosce, la mappa mentale è molto precisa. La Jenny è figa, ma in dieci minuti ti fa fuori. Quella davanti al gommista è carina. Mentre quella giovane appena arrivata sotto il cavalcavia non sa se è maggiorenne, “ma veramente a me ha detto che ha 19 anni”, “eh, l’ha detto a te!” conclude scettico. E arriva a consigliarmene una nel pavese. Ma, ovviamente, le conosce solo di vista o per relazioni di amici, lui ha moglie e figli, che lo aiutano nel lavoro, in cascina e, ovviamente, non le frequenta. Faccio mostra di prestargli fede.
Invero svela una curiosità, a tratti ingenua, a tratti competente, circa gli incontri che si consumano nelle sue terre. Mi chiede “cosa vi dite” durante l’amplesso e si immagina dialoghi a base di &ldquoai, porcona, sì…”. Mi vuole insegnare come si dice puttana e figa in rumeno. Mi suggerisce di non dare mai più di 10 euri alle africane, un suo amico gliene dà 5 anche per l’anale.
Dal racconto, poco alla volta, viene fuori tutto un “Mondo piccolo”, potremmo dire dopo aver citato Guareschi, il mondo di paesi che da anni intrecciano le loro vite quotidiane con una concentrazione eccezionalmente fitta di prostitute. C’è infatti l’amico che ha rimediato la multa a Melegnano, privo di dimestichezza con internet, dove gli consiglio caldamente di indirizzarlo per ricorrere contro questi abusi che approfittano come sempre dei più sprovveduti. Quello che ha sposato l’africana conosciuta sotto un ponte, e dopo 15 anni sono ancora insieme. E quello che cercava a Milano situazioni più estreme e si è ammalato di Aids.
Non è un idillio questa convivenza. Racconta qualche brutto incontro, suo o del fratello, con il mondo sommerso di figuri poco raccomandabili che stanno dietro la vetrina delle belle ragazze carine in attesa sulle loro seggiole, e ci stanno bene attenti. È convinto che anche i vigili, dopo le minacce, abbiano ormai lasciato perdere i controlli. Ha litigato con un cliente che sporcava, come tiene a dire, a “casa mia”, e non mi sfugge l’immondezzaio di fazzolettini bianchi e preservativi rossi in decomposizione cui si sono ridotti alcuni angoli della sua proprietà. Purtroppo recentemente ho dato anch’io il mio contribuito organico e sintetico. La compagna prende l’involtino dei resti e si prepara a gettarlo dal finestrino. Cerco di fermarla: “dai a me, che mi vergogno, conosco il proprietario…”. Serafica: “ma non può sapere che sono stata io”. Peraltro lei è di norma attenta e rispettosa e lo dice: “di solito non lo faccio mai”. Ma è implacabile: “stavolta mi va così”. E l’angioletto dagli occhi azzurri porta a compimento, con il lancio teppistico, l’impulso selvatico che l’ha mossa.
In ogni caso un’attività remunerativa dall’invadente viavai diurno e notturno l’ha ricavata. È sorprendente, infatti, il numero di clienti finiti nei fossi che attraversano la sua proprietà per irrigarla. Pensa che ubriachi, eccitati, spinti dopo l’amplesso dalla fretta di andar via, distratti dalle compagne occasionali, gli automobilisti manovrano senza avvedersene e, per quanto siano canali poco profondi, poi ci restano dentro. Le ragazze che lavorano in zona mi hanno confermato che succede. Quando però lo vanno a cercare per farsi tirare fuori lui si fa pagare il servizio con corda e trattore. Con quello che lascerebbero al carroattrezzi, ragiona, cinquanta o cento euro se li fa dare, che tanto “in qualche tasca della macchina” di chi è a caccia di avventure in questi paraggi ci sono sempre. Ridendo mi promette però un trattamento di favore nel caso incorressi in questo infortuno: “a te ti bastono, te ne chiedo trecento!”.
Mi sembra comunque che in zona non sia il solo ad essersi abituato a stare fianco a fianco con prostitute e clienti. Per la prima volta, alla stazione di servizio di Carpiano, vicino all’incrocio con la Valtidone, un dipendente ha condotto una sorta di intervista preliminare al mio posto. Mentre mi fa benzina, grida alla mora dall’altra parte della strada: “cosa fai? Prendi il sole?” (perché non si sta fermando nessuno). Poi, indicandomi a lei: “Se vuoi lui viene, ma gratis”. Io non gli nascondo niente: “ma anche pagando…”. Aggiungo: “Forse la conosco”. “No, è nuova” mi corregge convinto. E invece avevo ragione io, con gli occhiali di sole e la nuova pettinatura, i capelli da ricci a lisci lunghi, mi inganna, ma l’ho già pure recensita. Anche il benzinaio, ovviamente, come il contadino, guarda e sente dire ma ufficialmente non le frequenta. “Io non vado con queste, non mi piacciono. Ma dicono che scopa bene”. Già, sempre questa fitta rete di informatori! Peraltro il pompino a mio avviso è mediocre. “E ha un bel corpo!”. Diciamo che posso riconoscerle una bella presenza.
Nel complesso, insomma, una divertita disinvoltura, forse una saggezza della terra che contrasta con l’isterismo di tanti residenti cittadini, così desiderosi di “ripulire” le strade e riservare i più asettici parchi urbani dove ci infrattiamo ai soli escrementi dei loro cani, con l’astio spropositato che emerge dalle discussioni sul movimento notturno nelle periferie ( http://forlanini.milanotoda… ), alla puntigliosità dei secchioni che in visita a Viboldone devono commentare “l’abbazia è un posto da vedere senza dubbio ma peccato per il contorno....le prostitute in un luogo del genere rovinano il tutto facendo perdere ogni bellezza!”
( https://www.tripadvisor.it/… ) .
Ma insomma, guardino il monumento e non si occupino del resto! In una recensione nel forum delle professioniste che lavorano di quest’altra rilevante area del meretricio diurno sud-milanese, si è mai letto “bella ragazza, peccato per la presenza in zona di un monastero femminile che rovina ogni atmosfera erotica”??
Le mie curiosità agronomiche sono state assecondate con la stessa ironia. Mentre spaziamo con lo sguardo sulla tenuta dopo l’aratura gli domando:
“Cosa pianti qui?”
“Mais”.
“Ah, viene bello alto”.
“Sì, così ci vai dietro a scopare”.
E scoppia a ridere. In realtà, dopo aver seminato, ha chiuso gli accessi ai coltivi con un masso, un cumulo di letame e balle di fieno, lasciando all’uso di noi puttanieri solo angoli di molto minore richiamo bucolico della sua proprietà, fangosi e cementificati. Cosa vogliamo farci, i limiti della brusca ospitalità degli agricoli!
Manca un protagonista, di norma, nel nostro romanzo collettivo di strada popolato di ragazze che compaiono, spariscono e tornano, ci fregano o ci appagano, forze dell’ordine che ci tendono agguati, colleghi che ci sottraggono le predilette: il proprietario delle terre che invadiamo alla ricerca del momento di piacere. Dedico quindi a quest’ombra una divagazione estiva, anche se l’ambientazione è primaverile, una pagina di risarcimento. Siccome i fatti sono reali, di lui non dirò niente che ne consenta l’identificazione personale, in considerazione delle sue ragioni di riservatezza, ma solo che manda avanti una cascina presso una delle principali strade lombarde dell’amore agreste a pagamento, diurno e notturno: la Binasca.
L’ho conosciuto nel corso di una vicenda dai risvolti surreali. Qualche mese fa ho perso il cellulare. Suppongo lo smarrimento e non il furto perché ormai valeva il prezzo del mero recupero dei materiali. Al massimo poteva interessare esaurirne la ricarica ad un ladro situato all’ultimo gradino della destrezza, eppure dopo aver bloccato (onde non mi fossero attribuiti traffici d’armi, trame terroristiche e crimini balcanici dei più vari) e recuperato, con grande fatica, il numero, ho riutilizzato fino ad agosto il credito di una ricarica di 15 euri fatta a dicembre (!). È vero che nessuno mi ha contattato per comunicarmi l’avvenuto ritrovamento. Ma ad un pranzo di famiglia una ragazza sosteneva che chi rinviene casualmente un telefono, se manca un secondo recapito evidente del proprietario, chiama il primo nome in rubrica. Le ho chiesto: “se è Alexia?”. Lei: “il secondo”. “Se è Alicia?”. Con decrescente speranza: “il terzo”. “Se è Anastaxia?”.
Come apparecchio tecnologico, insomma, non interessava più a nessuno, il credito non è stato sfruttato ed è plausibile, anche se il mio tipo di rubrica potrebbe non aver incoraggiato un’etica della restituzione, che io l’abbia smarrito in un luogo dove non è stato recuperato. Per questo mi sono convinto di averlo perso sul campo di battaglia, durante una pecorina all’aria aperta, nel momento di cui ho già sperimentato l’insidia, quando si calano i pantaloni che si avvolgono a terra e la tasca si rovescia. Mi era infatti già capitato dentro l’abitacolo, allorché, a fine amplesso, la soccorrevole biondina mi porse il cellulare raccogliendolo.
Siccome mi seccava molto per la rubrica e per un numero di lavoro cui è collegata una firma digitale, l’ho cercato. La domenica di Pasqua ho fatto il primo sopralluogo nel punto dell’ultima camporella. Con l’idea di non intralciare, e di non farmi intralciare, dall’attività di ragazze che più o meno conosco tutte, mi metto all’opera prima di loro, alle otto circa del mattino in cui è stata reintrodotta l’ora legale. Il proprietario si ritrova uno sconosciuto in un angolino dei suoi campi che, con fare sospetto, cerca pazientemente qualcosa, lungo una sterrata fra terre arabili che, presto smosse, e cespugli concorreranno al fallimento dell’impresa, e mi avvicina. Ci tornerò comunque un’altra mattina ancora, sempre presto, con una nebbiolina fuori stagione aleggiante sulle zolle, e per un ultimo tentativo con il metal detector portatile prestatomi da un amico. È un oggetto che l’abitante della cascina conosce, per avere già incrociato un cercamonete, e che attrae la curiosità, tanto che anche stavolta resta con me un bel momento a fare quattro chiacchiere e a vederlo in funzione.
Ci presentiamo: è un uomo di mezza età con una di quelle teste quadrate che Gianni Brera avrebbe attribuito alla discendenza dai più antichi abitanti della valle del Po, ha un nome che sarebbe piaciuto ad un altro grande narratore della bassa come Guareschi, ed è incline a conversare con misurata cordialità, ricorrendo al tu facile. Gli spiego che il mio cellulare non era che è un vecchissimo piccolo parallelepipedo scuro, ad una mia amica ricordava una lapide, senza nemmeno l’occhio inquietante della fotocamera. Anche lui mostra il Nokia con un certo compiacimento per la sua arcaicità. Cerca di aiutarmi. Avrebbe provato a chiamare per cercarlo con lo squillo, ma il mio è stato perso spento. Insiste per ricontrollare con me sotto il sedile della macchina perché è convinto che è il primo posto dove scivolano.
Con molta naturalezza veniamo a parlare delle ragioni delle mie frequentazioni del luogo. Mi chiede senza giri di parole se fossi venuto da quelle parti a scopare, se fossi io il proprietario del coupé giallo che si era fermato nel tale punto della sua proprietà, ma poi fa caso che ho una macchina completamente diversa e che quell’altro non si era spinto in una posizione così avanzata. Ho capito, allora, che anche quando ci guardiamo bene attorno, è costante un controllo visivo del territorio da parte di chi lo pratica regolarmente.
La sua conoscenza dello spazio circostante si allarga alle presenze più significative, sulla Binasca le presenze femminili. È stupito che il pallido e magro cittadino che ha di fronte se le sia fatte passare più o meno tutte. Ma anche lui le ha ben presenti e in un raggio di decine chilometri. Anche senza il forum, che non conosce, la mappa mentale è molto precisa. La Jenny è figa, ma in dieci minuti ti fa fuori. Quella davanti al gommista è carina. Mentre quella giovane appena arrivata sotto il cavalcavia non sa se è maggiorenne, “ma veramente a me ha detto che ha 19 anni”, “eh, l’ha detto a te!” conclude scettico. E arriva a consigliarmene una nel pavese. Ma, ovviamente, le conosce solo di vista o per relazioni di amici, lui ha moglie e figli, che lo aiutano nel lavoro, in cascina e, ovviamente, non le frequenta. Faccio mostra di prestargli fede.
Invero svela una curiosità, a tratti ingenua, a tratti competente, circa gli incontri che si consumano nelle sue terre. Mi chiede “cosa vi dite” durante l’amplesso e si immagina dialoghi a base di &ldquoai, porcona, sì…”. Mi vuole insegnare come si dice puttana e figa in rumeno. Mi suggerisce di non dare mai più di 10 euri alle africane, un suo amico gliene dà 5 anche per l’anale.
Dal racconto, poco alla volta, viene fuori tutto un “Mondo piccolo”, potremmo dire dopo aver citato Guareschi, il mondo di paesi che da anni intrecciano le loro vite quotidiane con una concentrazione eccezionalmente fitta di prostitute. C’è infatti l’amico che ha rimediato la multa a Melegnano, privo di dimestichezza con internet, dove gli consiglio caldamente di indirizzarlo per ricorrere contro questi abusi che approfittano come sempre dei più sprovveduti. Quello che ha sposato l’africana conosciuta sotto un ponte, e dopo 15 anni sono ancora insieme. E quello che cercava a Milano situazioni più estreme e si è ammalato di Aids.
Non è un idillio questa convivenza. Racconta qualche brutto incontro, suo o del fratello, con il mondo sommerso di figuri poco raccomandabili che stanno dietro la vetrina delle belle ragazze carine in attesa sulle loro seggiole, e ci stanno bene attenti. È convinto che anche i vigili, dopo le minacce, abbiano ormai lasciato perdere i controlli. Ha litigato con un cliente che sporcava, come tiene a dire, a “casa mia”, e non mi sfugge l’immondezzaio di fazzolettini bianchi e preservativi rossi in decomposizione cui si sono ridotti alcuni angoli della sua proprietà. Purtroppo recentemente ho dato anch’io il mio contribuito organico e sintetico. La compagna prende l’involtino dei resti e si prepara a gettarlo dal finestrino. Cerco di fermarla: “dai a me, che mi vergogno, conosco il proprietario…”. Serafica: “ma non può sapere che sono stata io”. Peraltro lei è di norma attenta e rispettosa e lo dice: “di solito non lo faccio mai”. Ma è implacabile: “stavolta mi va così”. E l’angioletto dagli occhi azzurri porta a compimento, con il lancio teppistico, l’impulso selvatico che l’ha mossa.
In ogni caso un’attività remunerativa dall’invadente viavai diurno e notturno l’ha ricavata. È sorprendente, infatti, il numero di clienti finiti nei fossi che attraversano la sua proprietà per irrigarla. Pensa che ubriachi, eccitati, spinti dopo l’amplesso dalla fretta di andar via, distratti dalle compagne occasionali, gli automobilisti manovrano senza avvedersene e, per quanto siano canali poco profondi, poi ci restano dentro. Le ragazze che lavorano in zona mi hanno confermato che succede. Quando però lo vanno a cercare per farsi tirare fuori lui si fa pagare il servizio con corda e trattore. Con quello che lascerebbero al carroattrezzi, ragiona, cinquanta o cento euro se li fa dare, che tanto “in qualche tasca della macchina” di chi è a caccia di avventure in questi paraggi ci sono sempre. Ridendo mi promette però un trattamento di favore nel caso incorressi in questo infortuno: “a te ti bastono, te ne chiedo trecento!”.
Mi sembra comunque che in zona non sia il solo ad essersi abituato a stare fianco a fianco con prostitute e clienti. Per la prima volta, alla stazione di servizio di Carpiano, vicino all’incrocio con la Valtidone, un dipendente ha condotto una sorta di intervista preliminare al mio posto. Mentre mi fa benzina, grida alla mora dall’altra parte della strada: “cosa fai? Prendi il sole?” (perché non si sta fermando nessuno). Poi, indicandomi a lei: “Se vuoi lui viene, ma gratis”. Io non gli nascondo niente: “ma anche pagando…”. Aggiungo: “Forse la conosco”. “No, è nuova” mi corregge convinto. E invece avevo ragione io, con gli occhiali di sole e la nuova pettinatura, i capelli da ricci a lisci lunghi, mi inganna, ma l’ho già pure recensita. Anche il benzinaio, ovviamente, come il contadino, guarda e sente dire ma ufficialmente non le frequenta. “Io non vado con queste, non mi piacciono. Ma dicono che scopa bene”. Già, sempre questa fitta rete di informatori! Peraltro il pompino a mio avviso è mediocre. “E ha un bel corpo!”. Diciamo che posso riconoscerle una bella presenza.
Nel complesso, insomma, una divertita disinvoltura, forse una saggezza della terra che contrasta con l’isterismo di tanti residenti cittadini, così desiderosi di “ripulire” le strade e riservare i più asettici parchi urbani dove ci infrattiamo ai soli escrementi dei loro cani, con l’astio spropositato che emerge dalle discussioni sul movimento notturno nelle periferie ( http://forlanini.milanotoda… ), alla puntigliosità dei secchioni che in visita a Viboldone devono commentare “l’abbazia è un posto da vedere senza dubbio ma peccato per il contorno....le prostitute in un luogo del genere rovinano il tutto facendo perdere ogni bellezza!”
( https://www.tripadvisor.it/… ) .
Ma insomma, guardino il monumento e non si occupino del resto! In una recensione nel forum delle professioniste che lavorano di quest’altra rilevante area del meretricio diurno sud-milanese, si è mai letto “bella ragazza, peccato per la presenza in zona di un monastero femminile che rovina ogni atmosfera erotica”??
Le mie curiosità agronomiche sono state assecondate con la stessa ironia. Mentre spaziamo con lo sguardo sulla tenuta dopo l’aratura gli domando:
“Cosa pianti qui?”
“Mais”.
“Ah, viene bello alto”.
“Sì, così ci vai dietro a scopare”.
E scoppia a ridere. In realtà, dopo aver seminato, ha chiuso gli accessi ai coltivi con un masso, un cumulo di letame e balle di fieno, lasciando all’uso di noi puttanieri solo angoli di molto minore richiamo bucolico della sua proprietà, fangosi e cementificati. Cosa vogliamo farci, i limiti della brusca ospitalità degli agricoli!