Vagando in zone che esploro raramente, in via Arbe, all’altezza delle villette dei civici 24 e seguenti, a destra procedendo da viale Marche verso viale Sarca, coordinate 45.49 7630, 9.19 7667, mi fermo per conoscere una giovine, Elena, che racconta di lavorare in quel punto da quindici giorni.
È una ragazza carina senza essere una strafiga. È alta circa 1,65 (non c'è artificio: porta scarpe basse che, senza troppe cerimonie, si toglie in macchina perché i piedi le fanno male). Ha un viso grazioso tendenzialmente quadrato dai lineamenti fini e labbra evidenziate da rossetto carico, carnagione chiara e bella pelle, occhi marroni; è bionda con i capelli oltre le spalle, lisci ma non stirati, che quindi sviluppano un certo volume attorno alla sua testa. Dice di avere 20 anni, ma gliene avrei dato qualcuno di più, perché ha già una corporatura da giovane donna piuttosto che da tardo-adolescente, mi riferisco in particolare alla vita e ai fianchi. Ho però potuto osservare poco del suo corpo, è carrozzata in modo adeguato e armonioso, soprattutto il culo, ma era già copertissima e non indossava abiti vistosi (una giacca rosa e leggings scuri).
Fa il pompino a 20, il boccafiga a 30, il culo a 100 (così mi ha detto!) in macchina. In albergo offre tutte le dette prestazioni sempre per 100, corrispondenti ad un’oretta di permanenza, senza sovrapprezzi. Domanda spontanea: “Fai tutto coperto, anche l’orale?”. “Certo!”. Non dispone di casa adibita e diffida della casa del cliente.
È gentile, fin dal momento in cui ci presentiamo dandoci la mano, e parla correntemente un italiano pure accentato. Dice di essere originaria della Moldavia. Le chiedo: “quale città? ”. Fa una risatina e risponde (restando affabile): “preferisco non dare troppe informazioni di me”. Ho capito: forse avevo indovinato la mossa dello scacco matto alla sua nazionalità nobilitata, ma lei è riuscita a strappare una patta.
Ci appartiamo in un luogo lontano dal suo marciapiede, non isolatissimo, ma in quel momento deserto d’altre auto e senza passaggio: ci fanno compagnia giusto la luce accesa dietro la tapparella semi-abbassata di una casa e i fari di qualche treno.
Le pago il pompino, ottenendo una prestazione di base. Non si spoglia anche se in una fase intermedia delle operazioni apre la giacca e solleva dal basso la maglietta, mostrandomi la pancia, che le accarezzo, e l’ombelico. Va beh, è erotismo anche questo, ma intanto le tette le tiene nascoste il solito reggiseno con i respingenti d’acciaio. Riveste immediatamente l’uccello con lo sciagurato goldone rosso anestetizzante. Attende poi ad un saliscendi paziente e abbastanza convinto ma non variato. Non è, nell’insieme, una situazione particolarmente coinvolgente e le do una mano (non metaforica) io, momento durante il quale lei mi solletica lo scroto. Va avanti bene durante la venuta, fa sentire lievemente anche i denti, ma non con goffaggine, bensì per intensificare la stimolazione.
L’involtino con i soliti rimasugli, oltre alla cicca che masticava prima di sostituirla in bocca con il mio uccello, me lo lascia in macchina.