Ho incontrato Sonia sulla via Emilia alla stazione Esso di Sordio, alla destra di chi provenga da Tavazzano e proceda verso Melegnano, coordinate 45.33 5774, 9.38 1007.
Lei dice di essere lì da un paio d’anni, ma a me non era mai capitato di incontrarla. Copre il turno notturno, anche se mi dice di non fare tardissimo, di norma. Dopo la mezzanotte, comunque, era al lavoro.
Non è una pantera nera dal corpo perfettamente snello e flessuoso, come alcune sue connazionali. Appartiene al tipo più robusto, non nel senso che sia una cicciona, ma che è proprio massiccia: almeno 1 e 70 ci sono tutti, spalle grosse, tette non enormi ma gradevoli, una terza piena con capezzolo consistente, culo sporgente, cosce in linea con tutto il resto, viso largo. Il colore naturale dei capelli lunghi e mossi è schiarito da sfumature mogano o ramate, per quello che posso capire alla debole luce artificiale del benzinaio.
Si presenta come originaria del Ghana. Quando mi dice l’età, 25 anni, poi si fa una risatina. Le chiedo perché e mi risponde, diventando seria: “no, niente”. Se li è calati? Magari sì, ma grosso modo l’età è quella. Se la cava con l’italiano, ma mi ha detto di preferire parlare in inglese. Ricorrendo a entrambe le lingue, ci riesce una conversazione di base: lei non mi è parsa trascinante, ma affabile sì. Soprattutto l’ho trovata, rispetto a tante connazionali, professionale e seria: non si avventa sulla portiera e attende l’assenso al fatidico “andiamo?”; non lusinga con prezzi stracciati, però fa quello che promette di fare ecc.
Fa il pompino coperto per 20, scoperto per 30, che diventano 50 per includere la venuta in bocca, 30 per il boccafiga coperto, 100 per l’albergo. La risposta sull’anale è significativa: 30... 40... 50... Sic, mi spara tutte le tre cifre. Questo dà bene l’idea di come sia tutto da negoziare. Anche la mia agognata venuta in bocca la contratto: 40 comprensivi di ostensione e palpeggiamento delle tette.
L’imbosco non esiste: vicinissimo al luogo di ingaggio e riparato in modo molto precario.
Era già copertissima e non si sarebbe spogliata per default: l’unico indumento un po’ provocante che veste sono dei leggings traforati a pizzi, quindi non c’è molto a diretta disposizione. Con la bocca effettua un saliscendi variato soltanto da qualche percussione della cappella sulla lingua, però con buona irrorazione di saliva e ritmi non frenetici. Due elementi, comunque, segnalano positivamente il suo pompino. Innanzitutto non stacca subito alla fine. Sento, invero, che al primissimo fiotto che le schizza sul palato reagisce irrigidendosi con un piccolo sobbalzo; ho temuto che a quel punto avrebbe mollato la presa, in sostanza venendo meno ai patti e rischiando di produrre qualche disastro in macchina. Invece no, è rimasta instancabilmente attaccata fino al pieno esaurimento della fontana, sputando poi il liquor e buttando lì uno di quegli apprezzamenti grossolani con cui le nostre compagne cercano di gratificare la nostra mascolinità (“era tanta!&rdquo. Questo è però comune al servizio garantito da ogni ragazza che lavori bene. Il connotato più personale ed estroso, invece, riguarda la diteggiatura. A partire dalla metà circa del trattamento, infatti, ha cominciato non la più frequentemente applicata, pur sempre piacevole, solleticazione dei testicoli mediante unghie e polpastrelli, ma una percussione a più dita, appoggiate sullo scroto e premute delicatamente l’una dopo l’altra in successione, proprio come una pianista che esegua le scale, con le mie palle al posto dei tasti (la romantica metafora è dedicata al carissimo musicologo Ominona). L’effetto è stato singolare e stimolante.
È attenta all’igiene: è attrezzata con salviettine umide, che usa per una preparazione preliminare dell’uccello e mi offre per la detersione finale; ritira tutto lei prima di scendere dalla macchina.
Lei dice di essere lì da un paio d’anni, ma a me non era mai capitato di incontrarla. Copre il turno notturno, anche se mi dice di non fare tardissimo, di norma. Dopo la mezzanotte, comunque, era al lavoro.
Non è una pantera nera dal corpo perfettamente snello e flessuoso, come alcune sue connazionali. Appartiene al tipo più robusto, non nel senso che sia una cicciona, ma che è proprio massiccia: almeno 1 e 70 ci sono tutti, spalle grosse, tette non enormi ma gradevoli, una terza piena con capezzolo consistente, culo sporgente, cosce in linea con tutto il resto, viso largo. Il colore naturale dei capelli lunghi e mossi è schiarito da sfumature mogano o ramate, per quello che posso capire alla debole luce artificiale del benzinaio.
Si presenta come originaria del Ghana. Quando mi dice l’età, 25 anni, poi si fa una risatina. Le chiedo perché e mi risponde, diventando seria: “no, niente”. Se li è calati? Magari sì, ma grosso modo l’età è quella. Se la cava con l’italiano, ma mi ha detto di preferire parlare in inglese. Ricorrendo a entrambe le lingue, ci riesce una conversazione di base: lei non mi è parsa trascinante, ma affabile sì. Soprattutto l’ho trovata, rispetto a tante connazionali, professionale e seria: non si avventa sulla portiera e attende l’assenso al fatidico “andiamo?”; non lusinga con prezzi stracciati, però fa quello che promette di fare ecc.
Fa il pompino coperto per 20, scoperto per 30, che diventano 50 per includere la venuta in bocca, 30 per il boccafiga coperto, 100 per l’albergo. La risposta sull’anale è significativa: 30... 40... 50... Sic, mi spara tutte le tre cifre. Questo dà bene l’idea di come sia tutto da negoziare. Anche la mia agognata venuta in bocca la contratto: 40 comprensivi di ostensione e palpeggiamento delle tette.
L’imbosco non esiste: vicinissimo al luogo di ingaggio e riparato in modo molto precario.
Era già copertissima e non si sarebbe spogliata per default: l’unico indumento un po’ provocante che veste sono dei leggings traforati a pizzi, quindi non c’è molto a diretta disposizione. Con la bocca effettua un saliscendi variato soltanto da qualche percussione della cappella sulla lingua, però con buona irrorazione di saliva e ritmi non frenetici. Due elementi, comunque, segnalano positivamente il suo pompino. Innanzitutto non stacca subito alla fine. Sento, invero, che al primissimo fiotto che le schizza sul palato reagisce irrigidendosi con un piccolo sobbalzo; ho temuto che a quel punto avrebbe mollato la presa, in sostanza venendo meno ai patti e rischiando di produrre qualche disastro in macchina. Invece no, è rimasta instancabilmente attaccata fino al pieno esaurimento della fontana, sputando poi il liquor e buttando lì uno di quegli apprezzamenti grossolani con cui le nostre compagne cercano di gratificare la nostra mascolinità (“era tanta!&rdquo. Questo è però comune al servizio garantito da ogni ragazza che lavori bene. Il connotato più personale ed estroso, invece, riguarda la diteggiatura. A partire dalla metà circa del trattamento, infatti, ha cominciato non la più frequentemente applicata, pur sempre piacevole, solleticazione dei testicoli mediante unghie e polpastrelli, ma una percussione a più dita, appoggiate sullo scroto e premute delicatamente l’una dopo l’altra in successione, proprio come una pianista che esegua le scale, con le mie palle al posto dei tasti (la romantica metafora è dedicata al carissimo musicologo Ominona). L’effetto è stato singolare e stimolante.
È attenta all’igiene: è attrezzata con salviettine umide, che usa per una preparazione preliminare dell’uccello e mi offre per la detersione finale; ritira tutto lei prima di scendere dalla macchina.