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me_gustan_los_pies
Jr. Member (125 post)
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Grazie...

Posterò una quarta parte con titolo diverso, "Un saluto, una promessa". Questa è in realtà la terza. La prima è "Le piante di papà..."
Il racconto è troppo lungo e l'ho dovuto dividere. Si intitola "Miryam".
WLForever
Sandokan (1300 post)
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Da applausi! Bravissimo, spero nella parte terza! Karma meritatissimo. WLF
me_gustan_los_pies
Jr. Member (125 post)
K+ 37 | K- 30
L’angolo perfetto (parte seconda)

Lei si è appoggiata alla parete, si è levata la giacchetta, ha abbassato il braccio e l’ha fatta scivolare a terra.
Si avvicina, mi spinge dolcemente col corpo contro la porta e mi prende il viso con le mani. Mi accarezza. Non c’è bisogno di parole.
Non so perché io sia lì o forse lo so bene. Non so perché lei non abbia ancora chiesto niente, non mi interessa scoprirlo. E’ una magia. Sto, stiamo vivendo una magia, in un mondo incantato che non è più il mondo reale, lo squallido mondo reale in cui ci siamo incontrati, lo squallido mondo reale in cui abbiamo intrecciato le nostre reciproche esigenze. O il fantastico mondo reale in cui ancora c’è spazio per una favola. Per andare oltre a quello che inevitabilmente sarà il finale della serata.
Si toglie le scarpe piegando le gambe all’indietro. Le sfila prendendo i tacchi. Una dopo l’altra. Le lascia cadere per terra. Le prendo la mano, l’accompagno in bagno. Il mio respiro si è fatto affannoso, lei, invece, sorride tranquilla. Vorrei saltarle addosso, vorrei strapparle i vestiti di dosso, vorrei cingerle tutto il corpo in un abbraccio. Ma il suo sguardo tranquillo mi ordina di bloccarmi, di aspettare, di imparare ad aspettare. Troppo spesso non sono stato capace di aspettare.
Sono già nudo, circondato dai miei vestiti mentre lei lentamente si toglie la gonna, poi i sottili slip bianchi. Si sfila dall’alto il toppino e due seni larghi, non più costretti, occupano il loro spazio naturale. I capezzoli sono lunghi, dritti, visibilmente duri. Le areole sono turgide, ovali, scure, molto grandi. Ne ho viste raramente di così grandi.
Ora è lei a prendermi per mano. Mi fa accomodare sul bidet, apre il miscelatore. Il primo getto di acqua mi fa sobbalzare all’indietro. Lei ride mentre il mio pene, già ritto e pulsante, le sfugge di mano. Le sue mani delicate ed esperte compiono il rito ablutorio. Il suo seno mi sfiora il braccio, mi fa il solletico aumentando l’eccitazione.
Tocca a lei. Si siede. Appoggia le punte delle piante dei piedi al pavimento, tenendo sollevati i talloni. L’arco delle piante, la posizione seduta, le caviglie non sottili, semplicemente proporzionate al resto del corpo e dei piedi, mi spingono a sedermi dietro di lei. Sente il mio arnese che le sfrega la schiena che si insinua nel taglio delle natiche. Ride. Mi dà una sberla su una mano che scivola sulla sua gamba: “Espera… espera…”
Come faccio ad aspettare? Ma devo. Mi sta educando. La sua fisicità prorompente, la sua grazia esperta mi stanno educando alla pazienza. Mi rialzo le porgo una salvietta. Si asciuga piegando ed allargando le gambe. Ora è un po’ goffa, ma è la goffaggine di chi è naturale, di chi si sente a suo agio.
La riprendo per mano. Nel corridoio lei cerca la stanza. La porto in salone, le indico il largo, comodo divano. Mi guarda stupita allargando gli occhi. Con un gesto la rassicuro.
Sono tornato ragazzino, mi dirigo nella mia stanza, nella stanza di noi fratelli. Le videocassette sono ancora al loro posto. Le mie videocassette, le nostre videocassette. Ne prendo una, il titolo è rassicurante. Era il segreto di noi fratelli. Il segreto mai scoperto da mamma. Non l’abbiamo mai buttata.
La prendo, torno in sala e l’inserisco nel videoregistratore, collegato all’enorme, vecchio, pesante televisore di casa. Quello regale, quello su cui la priorità era di papà. Quello che nonostante gli anni ancora funziona.
Iniziano a scorrere le immagini. Le striate immagini di un vecchio vhs fine anni ’70. Le immagini sbiadite di un pornaccio tedesco, comprato di nascosto dal fratellone che dimostrava più dei 16 anni al momento dell’acquisto. L’attore alto alto alto, magro magro magro, con un pene lungo lungo lungo col quale ci confrontavamo senza mai riuscire ad eguagliarlo… Le attrici, una stecca e una botolotta, una magra ed una in carne come solo una tedesca che si nutre a wurstel e birra può essere. Arrivavano a metà del loro partner, ma tanto bastava. Pelose come all’epoca andava di moda, pelose sotto le ascelle e in mezzo alle gambe.
Ed ora sono tornato ragazzino e lo voglio rivedere. Lo voglio rivedere senza prendermi le sonore sberle che mi aveva appioppato la prima morosina alla quale lo avevo proposto. Sberle che a scuola, il giorno successivo, si erano trasformate in una richiesta di rivederlo insieme con più calma…
Miryam è seduta sull’ampio divano, con la schiena appoggiata comodamente, i seni larghi e liberi, le gambe incrociate che allargano i fianchi e allungano verso l’alto le dita dei piedi. Piccole, armoniose, laccate di rosso, invitanti. Non lunghe, piuttosto, più larghe.
E’ perplessa, non capisce. Quando scorrono le prime immagini scoppia in una risata cristallina e mi salta addosso.
Sono in piedi, mi costringe a sdraiarmi sul tappeto. Si è messa di lato, col viso vuole vedere i buffi ciuffi delle tedesche che godono falsamente e rumorosamente. O forse godono per davvero, chi lo sa?
Mi prende su di sé. Mi spinge verso il basso, in mezzo alle gambe, inizio a salivarla dolcemente, salgo poco alla volta. La mia testa è fra le sue mani, mi scompiglia i capelli.
Il tappeto non è proprio morbido, le ginocchia si sfregano ma non m’interessa. Da quanto tempo non sono così rilassato?
Sono sul seno ma lei mi attira a sé. La mia testa è costretta a salire. Come un polpo attaccato alla preda, l’esca, che solo all’ultimo momento si accorge di essere in trappola, vicino alla superficie del mare. La sua bocca si attacca alla mia, le lingue si incrociano, siamo due ventose incapaci di staccarsi. La sua lingua guizza con sapienti movimenti nella mia cavità orale, sciogliendosi ed intrecciandosi con la mia.
Sono su di lei, completamente su di lei, le sue gambe mi hanno avvolto, le sue braccia mi hanno avvolto, mi spingono la schiena e le natiche su di lei. Ma… cosa sta accadendo? Il mio lui, senza forzature, senza fatica, senza conduzione, è entrato timidamente nella sua lei. Era appoggiato, ma come ad un invito è scivolato nella calda cavità.
Impaurito mi ritraggo. Ho timore della sua reazione. Ha posato la copertura su un tavolino lì di fianco ma non me l’ha infilata. Ho paura che mi prenda a schiaffi, che il magico momento finisca bruscamente…
“No… no… amor, sin miedo…”
Lo vuole, con una mano lo prende dolcemente, lo rimette dove era appoggiato.
“Sin miedo, amor…”
E lui rientra, senza fatica, come prima. E va fino in fondo. Avvolto da un calore dimenticato. Giusto per larghezza e lunghezza nello spazio che ha conquistato, da cui è stato conquistato. Si culla prima piano, timido, poi sempre più forte, mentre le nostre bocche unite mugolano e gemono e le sue mani mi stringono il viso, ancora più forte, ampio e veloce.
Qualcosa mi frulla nel cervello. Non lo capisco immediatamente. E’ una sensazione che non ho mai vissuto. Mi lascio andare alle sensazioni e, ad un tratto, capisco: l’angolo perfetto.
Miryam ed io abbiamo trovato l’angolo perfetto.