Una mattina di fine ottobre del 1979 mi vedrà scendere alla fermata del tram in c.so Unione Sovietica, a Torino; mi sarò fatto la barba, per quanto si tratti ancora di una leggera peluria tra il labbro superiore ed il naso e di poco altro sul mento.
Giunto all'angolo svolterò in c.so Lepanto e mi avvicinerò all'ingresso di un edificio di cui conosco già l'esistenza, per esserci passato davanti tante volte, mentre andavo in curva Maratona allo stadio: la sede del Distretto Militare di Torino.
Nel breve percorso tra la fermata ed il portone vedrò altri giovani con l'occhio sveglio, molti di loro avranno in mano, come me, l'avviso arrivato per posta che ordina di presentarsi a quell'indirizzo per essere sottoposti ad un evento che capita solo una volta nella vita: i tre giorni della visita di leva.
Mi troverò in uno stanzone con tanti, davvero tanti, altri miei coetanei; il mio nome e la mia data di nascita verranno scritti e spuntati ripetutamente su grossi elenchi, il cui scopo resterà sempre a me sconosciuto.
In quei tre giorni farò conoscenza, occasionale e mai più approfondita, con una manica di altri figli di buona donna come me; verrò pesato, misurato, palpato, auscultato ed interrogato; persino le mie urine saranno oggetto di indagine da parte di quella emanazione dello Stato che sono le Forze Armate: la questione sarà risolta con italica efficenza di fronte ai grandi numeri, un caporale poco più grande di me si rivolgerà a tutti noi con in mano un pacco di schede dicendo "Chi sa di essere malato di reni, di avere il diabete o altre malattie venga avanti!". Vedrò qualcuno avvicinarsi reggendo involti contenenti radiografie e diagnosi, il caporale cercherà a fatica i loro nominativi sulle relative schede, quindi sentenzierà "Tutti gli altri, negativi!"
Lo Stato italiano non saprà mai nulla della mia pisciazza.
Nel mio vocabolario non avrò ancora bene impressa la locuzione formata dalle parole "leggenda" e "metropolitana", diverrà di uso comune anni dopo, ma il seme lo vedrò gettare in quelle stanze affollate; udirò di poveri diavoli primogeniti che lavorano per sfamare i fratellini, spediti senza pietà a fare i carristi a Lecce; apprenderò ridendo di addetti al puntamento dell'obice che fanno strage di armenti lontani chilometri in quel di Capo Teulada; mi stupirò nel sapere dell'esistenza di "Abili di quarta, ti chiamano solo se scoppia la guerra e ti tengono nelle retrovie a fare il cuoco o cose così"; alzerò uno scettico sopracciglio nel sentire del tipo che si è portato a casa, pezzo dopo pezzo, una mitragliatrice MG, "Solo qualche problemino con la canna", il tutto giacerà nascosto ora, con tanto di nastro con un tracciante ogni cinque o sei pallottole, in una cantina che sarà sempre ed inequivocabilmente, a sentire il narratore, in via Artom o alle Vallette o a Falchera.
Lascrerò il Distretto tre giorni dopo, arricchito dalla relativa parte di decade che mi spetterà, 3000 lire, e dalla consapevolezza di essere adulto. "Abile di seconda", apprenderò inforcando gli occhiali da miope leggero.
Mi sarò sentito un numero, per la prima volta in vita mia; deciderò che la carriera militare non fa per me.
Passerò le settimane seguenti ottenendo un altro pezzo di carta dalla Pubblica Amministrazione: il foglio rosa, che mi darà il diritto di guidare, seppur accompagnato, un'auto.
E aspetterò l'inevitabile chiamata, rodendomi per il dover rinunciare ad un anno di stipendio; alla prima auto tutta mia, comprata, rigorosamente di seconda mano ma ben tenuta, da una madamina; alle amicizie che avrò fatto negli anni precedenti.
Finchè un giorno di primavera del 1980, mentre a Chicago John Landis gira "The blues brothers", anch'io come John Belushi vedrò la luce: il Corpo dei Vigili del Fuoco!
Non sprecherò un anno della mia vita a fare qualcosa di forse inutile, sarò invece un valido e provetto pompiere.
Entrerò in un altro edificio pubblico, in c.so Regina, vicino a Porta Palazzo, sede torinese dei Vigili del Fuoco, per ritirare il modulo di adesione sostitutivo al servizio di leva; un pompiere poco più grande di me mi dirà che dopo il corso di addestramento avrò anche diritto ad una paga, una paga vera, seppur non altissima.
Leggerò nel modulo che per essere ammessi bisognerà aver fatto determinati lavori: carpentiere, fabbro, elettricista, idraulico, falegname eccetera oppure essere in possesso della patente C. Se sei un ragioniere appena diplomato, o un barista, o se passi le tue giornate curando una vigna, i pompieri non sanno che farsene di te.
Tornerò a casa contento, col modulo pronto per essere compilato in attesa delle pezze di appoggio lavorative.
Sarò fregato dal boom demografico.
I miei genitori, come quelli di tanti altri della mia generazione, usciti dall'inverno della guerra, quella vera, avevano ripreso a copulare e formicare come tante formichine nel loro caldo fornicaio.
Il risultato? Mi arriverà a casa per posta, congedato per esubero di contingente.
Ci rimarrò male. Il mio Paese non avrà un coraggioso pompiere pronto a gettarsi tra le fiamme per salvare una dolce fanciulla.
Prenderò un'altra strada, guidato dai casi della vita.
Una sera di inizio aprile del 2013 mi vedrà raccontare ad un'altra manica di figli di buona donna una cosa che non potrò raccontare, perchè non l'ho fatta.
Userò il futuro, anche anteriore e di certo interiore, per ricordare il passato.
Tutto questo per non fare km inutilmente