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Karzan
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SULLA STRADA ABBIAMO ANCHE CANTATO
Colonne sonore di incontri milanesi



di Carnevale

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LE RAGAZZE DAVANTI ALL’AUTORADIO

Dopo le immagini di strada, pensavo da tempo di raccogliere aneddoti e riflessioni sulle colonne sonore dei miei incontri a Milano e dintorni. In un primo momento sono stato dell’idea di pubblicarlo nelle “Varie” generali del forum, ma mi sono reso conto che così, rivolto a lettori che perlopiù, si può presumere, non conoscono direttamente le ragazze menzionate, sarebbe risultato un discorso sulla musica che piace ascoltare a me in macchina. Io però resto fedele all’idea che qui sia utile parlare non di noi, ma delle ragazze o comunque di incontri che coinvolgono entrambi i soggetti, anche se magari con uno sguardo un po’ insolito come questo. Pertanto ho deciso di concentrare queste note sul polo opposto, sulle reazioni delle nostre amiche: indirizzandomi ai colleghi lombardi, quindi, mi riferirò ad alcune delle più famose stradali milanesi, con una sorta di carrellata su quelle in attività e di stringato amarcord di quante ci hanno abbandonato. Userò il nome e la stazione di sosta, in modo da facilitare sia chi le ricorda, sia chi, incuriosito, volesse cercare le rispettive discussioni. Lo scopo è offrire un altro punto di vista per approfondire il loro carattere e la loro attitudine verso il cliente, lasciando come sottofondo, appunto, il tema musicale. Rimetto però ovviamente al supervisore la decisione definitiva sulla collocazione del testo.
Qua e là si è parlato di musica con gli amici di forum, cui dedico queste righe. Innanzitutto, considerando che la pratica del sesso stradale è, fra l’altro, dilatazione e dilapidazione di tempo, una buona compagnia da parte dell’autoradio è necessaria. Se quasi mai ho lasciato una colonna sonora per il coito, questa ha spesso accompagnato quel fondamentale momento introduttivo del comune viaggio automobilistico. La musica che ascoltiamo, il genere, il volume, è una delle prime impressioni che la ragazza caricata ricava su di noi (insieme alla cura dell’aspetto fisico e dell’abbigliamento, al profumo, al modo in cui ci rivolgiamo a lei...). È insomma una sorta di presentazione, ma anche un possibile facilitatore della conversazione o un segno di identità. D’altra parte ci consente di capire qualcosa di loro attraverso le risposte che offrono: l’indifferenza, il fastidio, la schiettezza, la cortesia sincera o manierata, la volontà di stabilire un contatto o meno, la capacità di essere spiritose, l’insolenza scherzosa.
Nella mia macchina sono accolte o dal silenzio, soprattutto la prima volta per lasciare spazio alle presentazioni e allo scambio di altre informazioni utili peraltro all’eventuale recensione, o da musica del tutto estranea all’orizzonte di gusti e interessi medi di giovani dell’Europa dell’est, le mie più assidue ospiti. Si tratta infatti di musica antica o classica (di solito scelta da me con tradizionali CD, più raramente rimessa ad un’emittente radiofonica) o musica popolare italiana, che le sorprende o respinge o incuriosisce. La cosa negli anni è diventata, per me, uno dei più efficaci reagenti alle diverse personalità delle ragazze. Il che non è sessualmente indifferente: per come sono fatto io, se dal principio siamo rilassati e sintonici, sono sicuro che, dal listino dell’offerta, ricco o povero che sia, qualcosa di buono tiriamo fuori; se partiamo male, anche lo sviluppo erotico ne risentirà pesantemente.




LE GELIDE

Spesso le compagne di incontri routinari, in cui abbiamo fatto più o meno le nostre cose senza che scattasse alcunché, sono state le più fredde.
Mi ricordo una fighetta distaccata come la GEORGIANA di Basiglio, che mi disse chiaramente che la classica non le piaceva. Mai più rivista, anche se non per questo.
È vero che pure quella che è stata una grande fidelizzata, EMILIA di Vimodrone, una notte mi ordinò di spegnere senza remissione. Ma è vero che lei è così, di buon carattere ma molto schietta; e, soprattutto, che le stavo infliggendo le lamentazioni del profeta Geremia di Palestrina, forse troppo per chiunque!
Anche la CLAUDIA di S. Giuliano, con cui sono sempre andato d’accordo, una sera fu quasi indisponente, perché, a proposito di un pezzo di Vivaldi, affermò: "Non è una musica adatta a noi giovani". Insomma! Almeno la furbizia di non dire “noi giovani” per distinguersi da un cliente di mezza età…




LE MEDIATRICI

Ho registrato tutta un’ampia gamma di cauta freddezza.
NATALIA di viale Cassala, una volta che dovemmo aspettare che una sua amica ci sgomberasse la casa, disse: “È musica bella ma a quest’ora mi fa addormentare”.
Recentemente, ANNA di Badile, dopo un’alternanza classica-popolare, non ha nascosto, cercando di non essere troppo scortese, che preferiva il silenzio “a quest’ora della notte”.




LE COMPLIMENTOSE

Quelle in genere dall’approccio più disponibile, da un punto di vista umano ma anche erotico, cercano di essere gentili. Naturalmente non interpreto le loro espressioni nella logica della “sincerità” quale viene intesa dal sentimentalismo borghese, così estraneo ai meccanismi dell’amore mercenario e anche alle mie aspettative. Dire “che bella musica” è un atto linguistico che non significa: davvero io, diciannovenne di Craiova che, invece di continuare gli studi, sono qui a battere il marciapiede, apprezzo intimamente questo concerto di Bach che sento per la prima volta in vita mia. Significa, invece, voler dire qualcosa di gradevole al cliente, senza scadere nei complimenti più improbabili e rozzi (“come ce l’hai grosso&rdquo, piuttosto che cominciare a prenderlo di punta o starsene zitta o perdersi nel proprio cellulare, che può essere una buona premessa per i successivi sviluppi della situazione.
MARIANNA di piazza Gobetti ha sempre manifestato gradimento.
MARIA di piazza Aspromonte non è una molto cerimoniosa, ma si è dimostrata curiosa (una volta voleva sapere in che lingua, latino, fossero certi componimenti sacri barocchi) e non dispiaciuta di non essere assordata dalla techno.
Anche la CRISTINA albanese di via Porpora, scomparsa lasciando molti nostalgici della sua dolcezza, mi diceva che così si rilassava.
ANNA di viale Ortles mi ha detto che lei ascolta anche musica popolare e zigana e, provando come sempre a metterci il garbo che i suoi assai semplici mezzi espressivi le consentono, con esiti tanto impacciati quanto incantevoli, ha cercato un apprezzamento per un brano dei Vespri della beata Vergine di Monteverdi: “Ce l’ha una bella voce” (testuale la tipica costruzione delle rumene quando parlano in italiano), a proposito della cantante.
Come sempre complimentosa fino all’affettazione meno credibile ISABELLA di Mediglia: mi bastò aprire il finestrino, inondandola con la “Matrona inimica” di Vivaldi, invero piuttosto orecchiabile, perché montando in macchina si precipitasse a dirmi, con la voce impostata sul suo tipico registro enfatico-sognante, “Che bella musica”, anche a nome della vicina LAURA (con me, invero, sempre distaccatissima).




LE DIPLOMATICHE

Alcune hanno imparato ad essere diplomatiche, affinando negli anni l’ars meretricia, che insegna ad assecondare quanto possibile il cliente.
CRISTINA di piazza Emilia una volta commentava desolata “che brutta musica”, a proposito di qualsiasi capolavoro del rinascimento o del barocco. E mi contrapponeva la musica rumena, come “la numero uno al mondo”, specificando “e non lo dico perché sono rumena”. Che impudenza! Una volta, per cambiare, le ho detto che le facevo ascoltare musica popolare invece che classica, e lei calò un evasivo “si sente”. Adesso invece dice “che musica” e si ferma lì, o abbozza se la melodia è gradevole, o si limita ad una risata.
Alla SIMONA di Mediglia chiesi esplicitamente se le piaceva la musica che nella circostanza era di Vivaldi. Lei, genuina come sempre, &ldquoevo dirti la verità?”: Io: “Certo”. Risposta: “No!”. Dopo invece ha appreso anche lei a compiacermi con la solita frase, che la rilassa.




LE SORPRESE

Ho registrato anche reazioni molto personali.
DIANA di viale Umbria, bella ragazza ma che mi pareva perdersi in un atteggiamento auto-contemplativo delle proprie grazie, approfittò subito di un madrigale rinascimentale che celebra gli occhi della bella per farmi notare con compiacimento i suoi occhi azzurrissimi, che certo non mi erano sfuggiti. D’accordo cara, se non possiamo parlare d’altro, sei splendida!
JASMINE di via Teodosio, incuriosita dall’“opera”, come dice lei, facendosi ovviamente aiutare da me nella comprensione delle parole del catalogo mozartiano, riprovò severamente la figura di Don Giovanni, seduttore che non ama le sue conquiste. La connessione necessaria fra sesso e sentimento non sarebbe proprio l’etica che ti aspetti in una mercenaria a suo modo sentimentale (ma non con noi clienti), che mi ha raccontato di aver trovato commovente “Pretty Woman”.
Non possiedo un’incisione di “Chi vuol la zingarella?”, ma una volta ho chiesto ad ANNA di viale Ortles di cercarla in rete sul suo cellulare (il mio è troppo vecchio). Non pretendevo che una giovane zigana rumena potesse trovarci chissà che in un bozzetto napoletano del tardo Settecento. Ma non ho resistito alla tentazione di ascoltare il brano di Paisiello insieme alla ragazza che più mi ricorda la sua protagonista, graziosa, accorta e bella, che sa stuzzicare i giovani e scaldar le cervella ai vecchi innamorati.
SIMONA di Mediglia, sentendo l’incipit a voce sole di un mottetto polifonico, mi pose la strana domanda: “Ma qui canta il prete?”. Ovviamente no, anche se è musica sacra, cantano dei professionisti! Poi mi fece capire meglio dicendo: “A me piace quando canta il prete”. E identificò una differenza decisiva fra il suo orecchio di ortodossa e la liturgia cattolica contemporanea, perché aggiunse che nelle nostre chiese invece cantano tutti e dopo un po’ non si capisce più niente. Mi sono divertito a sentire questa ragazza, semplice e supporrei non particolarmente bigotta, demolire con poche parole di buon senso tutto lo spirito della riforma in nome della quale negli ultimi decenni le chiese italiane sono diventate luoghi rigurgitanti oscenità sonore.
ANNA di viale Umbria, la più sfacciata di tutte, è l’unica che avesse l’abitudine di spegnere di sua autorità l’autoradio. Quando le dissi che mi sarebbe piaciuto trovare una ragazza che apprezzasse questa musica, rispose: &ldquoevi trovare una secchiona”. Poi scrutandomi, la ricordo ancora girata verso di me: ”Tu sei un po’ secchione”. Ci eravamo appena conosciuti e, pur esprimendosi con questo linguaggio adolescenziale da teledipendente, alla pupa riuscì una fedele approssimazione. Diabolica come sempre, una volta aggiunse: “Cosa vuoi che ti di dica? Che mi piace? Come mi rilassa…”, e partì con una perfetta imitazione delle colleghe complimentose, mostrandomi come sarebbe stata capace di assumere tutt’altra faccia. A proposito di quello che dicevo sopra sulla “sincerità” delle relazioni mercenarie.
Non è mancato il grottesco, con ROSSANA di Mediglia. Non credo di essere il solo a ricordarla come una smagliante e disponibile fighetta, ma a tratti apatica e assente, come disconnessa dalla realtà. Una notte la carico, parliamo del più e del meno e poi faccio caso al fatto che nell’autoradio sta andando Monteverdi. Le dico: "Spengo qui, che è musica di 500 anni fa (approssimazione mia), non va bene per te". E lei, letteralmente a bocca aperta e scandendo le parole: “Ha 500 anni... E ci sono ancora i CD!”. Io resto più stupefatto di lei a sentire una ragazza immagino mediamente scolarizzata e in possesso delle sue facoltà mentali che sembra credere che i CD di classica siano CD d’antiquariato risalenti al tempo in cui è stata composta quella musica, che si è salvata perché qualche copia è arrivata miracolosamente fino a noi. Allora le spiego che di musica così antica abbiamo solo la scrittura, che viene reinterpretata e solo oggi incisa. E lei mica mi risponde, come ancora spero: “Ma è ovvio, che cazzo avevi capito!?”. Rimane lì, attonita, chiedendomi di non spegnere, che a questo punto è curiosa di sentirla questa musica così vecchia. Le seleziono uno dei “madrigali guerrieri” più orecchiabili, che ascolta per concludere, forse per una confusione con la tradizione popolare, che anche in Romania c’è della musica di questo tipo, ma è in rumeno. Ho raccontato recentemente l’episodio a Simona di Mediglia, propinandole gli stessi brani, così da rievocare insieme questa sua un tempo vicina di marciapiede, bella e un po’ addormentata; lei è scoppiata in una risata fragorosa.





ABBIAMO ANCHE CANTATO

L’intesa più divertita è nata con quelle che sono state al gioco. SONIA di viale Piceno seguì il catalogo del Don Giovanni mozartiano ripetendo e accompagnandosi al "mille e tre", lo stellare numero di conquiste del “giovane cavaliere estremamente licenzioso” in Spagna (che Sonia peraltro aveva scelto come patria di fantasia), passaggio in effetti molto sottolineato dall’aria. La volta dopo mi disse che l’aveva risentita in televisione e mi riportò la parte dell’elenco numerico riferito alle “vittime” contate nelle varie nazioni europee.
GEORGIANA di Carpiano, che racconta di sentire musica italiana, zigana (mi ha suggerito il nome di certi cantanti) e rumena, anche “popolana” (così dice), mentre le infliggevo l’ascolto di canti di mondine emiliane, arrivò a dirmi di trovare bella una ninna-nanna che a me pareva, al di là del fascino del ritmo ipnotico del genere, un po’ noiosa. Quindi ho scelto una traccia più orecchiabile: “Tutti mi dicono bionda”. E lei la seguiva canticchiandola nelle parti più lineari da un punto di visto melodico e testuale, con la sua spontaneità di “lieta contadinella” che ha pienamente confermato la mia impressione del primo incontro, ma con un orecchio che mi ha sorpreso, considerando che lei non conosce ancora benissimo l’italiano.
ANNA di viale Umbria, invece, non poteva non prendere per il culo, è più forte di lei, e si produceva in imitazioni parodiche della vocalità rinascimentale.
Una sera, invece, ero io ad avere le orecchie e la mente piene di arie mozartiane, che riemergevano naturalmente. E ANNA di viale Ortles ne era incuriosita: “Canti?”. Purtroppo in questo caso non basta il racconto, è necessario averla sentita viva voce per percepire come questa ragazza taciturna sappia esprimere con una pur telegrafica domanda tutta la sua freschezza fanciullesca.
Le ultime situazioni mi portano a concludere spiegando il titolo. Lo scrittore Mario Rigoni Stern racconta che Emilio Lussu, l’autore di “Un anno sull’Altipiano”, non si era riconosciuto appieno nel film che ne aveva tratto Francesco Rosi, “Uomini contro”. In effetti il primo è un libro sulla complessissima esperienza umana della guerra, il secondo un film che la mette in scena in modo ideologico e schematico. E per esprimere una ricchezza di esperienza che non trovava nella pellicola, così precipitosa nell’assegnare torti e ragioni, disse all’amico: “Tu lo sai, in guerra qualche volta abbiamo anche cantato”. La battuta resta eloquente se ci spostiamo nel nostro campo di battaglia, fra memorie di strada che con questa pagina desidero opporre a tutte le elementari e monocordi prediche moralistiche di quanti ignorano la varietà delle relazioni mercenarie, l’allegria e la complicità che possono nascere da questi così vituperati amplessi pagati, almeno nelle circostanze più fortunate.

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